Mediazione e progresso: parliamone con Paola Lucarelli

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In un momento di crisi come quello attuale si deve riflettere su che cosa voglia dire progresso e su che cosa occorra puntare per raggiungere un obiettivo degno di tale significato. La giustizia, in particolare, costituisce da sempre un parametro per valutare la soglia di civiltà e di progresso di una società e la mediazione civile e commerciale può costituire uno strumento idoneo per raggiungere  tale meta.
In tale direzione si orienta una recente pubblicazione dal titolo “Mediazione e progresso“, curato dal Professor Giuseppe Conte e dalla Professoressa Paola Lucarelli, entrambi della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università degli Studi di Firenze e facenti parte del “Laboratorio Un altro modo“.
A Paola Lucarelli, ideatrice e madrina di moltissime iniziative in tema di mediazione nell’area fiorentina, abbiamo rivolto qualche domanda.

1) Quali ragioni hanno spinto alla redazione di questo testo?

Il progetto relativo alla ricerca scientifica trans-disciplinare in materia di mediazione è maturato nella Scuola di formazione sulla gestione delle relazioni conflittuali della Facoltà di Giurisprudenza. Fin dall’inizio dell’attività di ricerca e di formazione, si è cercato il dialogo costante e costruttivo con discipline diverse da quella giuridica, nella consapevolezza del carattere trasversale dello strumento della mediazione rispetto alle singole tipologie di conflitto, ma anche rispetto alle diverse aree del sapere, teorico e applicato. Da quando il centro dedicato alla mediazione è nato nella nostra Facoltà, profili di varia e diversa cultura scientifica hanno collaborato allo scambio culturale verso una sintesi sempre più manifesta che valorizza l’uomo nella società. Il volume Mediazione e Progresso è solo il risultato di lunghe e approfondite riflessioni e conversazioni fra gli autori dei singoli contributi, nella visione comunque condivisa dell’uomo sociale portatore di sviluppo se adulto, cioé autonomo, consapevole, capace e responsabile.

2) Nella mediazione delegata dal giudice quale connotazione assume la ridefinizione della controversia effettuata da quest’ultimo?

Nella mediazione delegata dal giudice, che è più corretto definire “su invito del giudice”, non vedo una ridefinizione della controversia, ma, molto più semplicemente, il riconoscimento dell’appartenenza della controversia alle parti. Cosa che appare a prima vista scontata, ma che forse merita di essere sottoposta ad una riflessione attenta. Lungi dal voler espropriare la giustizia di un compito elevatissimo nella società – che è quello di giudicare applicando il diritto – laddove il giudice muova dalla considerazione che le parti hanno portato sul suo tavolo una delega alla soluzione del loro problema, non può fare a meno di soffermarsi sul ruolo altrettanto alto del “dubbio” sulla relativa inevitabilità. Non si tratta di ridefinire la controversia, ma di contribuire a che le parti riflettano, insieme ai loro difensori, sulla effettiva necessità di una delega giudiziale e sulla meritevolezza e convenienza di un approccio diretto. Sul contributo che il giudice, facendo uso dell’invito, può portare a tale processo evolutivo, le pagine del volume accompagnano il lettore percorrendo strade diverse che conducono però alla stessa meta: quella della crescita dell’uomo e della sua capacità di esercitare un potere generativo di valori.

3) In che modo il giudice può “allargare la torta”?

La metafora non mi ha mai convinta, e preferisco immaginare che il percorso mediativo conduca semmai a scelte, decisioni, che presuppongono la più ampia consapevolezza. Le opportunità di cogliere il beneficio che la mediazione apporta sono dentro di noi, non rappresentano un bene esterno e materiale da allargare per poterne godere in qualche misura.
Così se è vero che non è affatto il giudice ad allargare la torta (nel senso classico della metafora), è sicuramente il giudice che invita le parti alla mediazione ad aiutarle a scegliere la strada della più profonda e ampia consapevolezza del loro problema.

4) Può descrivere quali sono i pericoli in cui si può incorrere attraverso un uso improprio della mediazione?

Il più alto dei rischi è la perdita dell’opportunità di trarre beneficio dall’esercizio dell’autonomia, ovvero della capacità di soddisfare i propri interessi.

5) In che modo la regolazione sociale influisce nell’evoluzione dell’uomo attraverso il processo di mediazione?

L’invito o l’obbligo di tentare la mediazione potrebbe favorire l’avvicinamento al procedimento e a tutti i suoi benefici (acquisizione di una maggiore capacità di confrontarsi con l’altro e il diverso, maggiore consapevolezza di tutte le dimensioni del conflitto, maggiore autonomia e capacità di scegliere e di assumere la responsabilità delle scelte, gestione meno violenta del conflitto, capacità di prevenzione del conflitto). Un’applicazione diffusa anche a livello di azione pubblica forse potrebbe aiutare a ridurre la distanza fra Stato o enti locali e cittadini e una politica di finanziamento pubblico agli enti che erogano servizi di mediazione sociale, laddove vi siano persone competenti a erogare il servizio, forse potrebbe contribuire a una diminuzione della microconflittualità sociale.