Mediazione ed emozioni

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La mediazione, oggi più che mai, ha bisogno di essere presa in considerazione per i suoi valori peculiari ossia per quegli elementi che la rendono intrinsecamente orientata ad accogliere ogni aspetto del conflitto al fine di ricomporlo ed eventualmente risolverlo in via bonaria. All’interno di questa “sfera” di riferimento un ruolo di preminente importanza assumono le emozioni. Ne parliamo con Claudia Giustiniani, referente della formazione mediatori in Camera Arbitrale di Milano.

1)       Nella tua esperienza di funzionaria  preposta alla formazione mediatori del servizio di conciliazione della CAM, quale importanza ritieni che abbiano le emozioni in un procedimento di mediazione?

Ritengo che abbiano un ruolo molto importante. Quando  si parla di mediazione, si parla di un luogo ove può entrare tutto ciò che appartiene alle soggettività coinvolte al tavolo. Non si tratta solo di negoziare. In questa direzione le linee guida della mediazione di Camera Arbitrale di Milano, sono inclini ad accogliere non un modello di mediazione rigidamente predefinito, ma ciò che rende lo strumento efficace e funzionale alle parti con la sottolineatura e l’attenzione alla componente emotiva. Ciò è accaduto in ‘tempi non sospetti’ in cui ancora non si parlava di mediazione trasformativa, in cui la mediazione familiare era sentita come molto lontana dalla conciliazione e la mediazione penale e sociale appartenevano ad un’altra galassia.

Oggi è divenuto patrimonio condiviso il riconoscimento del ruolo delle emozioni in mediazione e dell’importanza per il mediatore di affacciarsi ad esse come imprescindibile passaggio per una gestione proficua e soddisfacente del procedimento di mediazione.

E’ una conquista. Una evoluzione. Una crescita dello strumento e di chi accoglie la sfida di passarvi  attraverso o più semplicemente ne viene lambito.

E’, ancora, una sfida per il mediatore/conciliatore che deve dotarsi di nuovi strumenti per vestire con più agio un ruolo che sempre più si sta professionalizzando.

Ma perché si parla così tanto di emozioni in mediazione? In fondo sono un qualcosa che tutti sperimentiamo quotidianamente: io mi arrabbio, il mio collega si arrabbia quindi è comprensibile che una parte in mediazione si arrabbi. Eppure, questo aspetto che ci appartiene e ci accomuna desta perplessità, intimorisce se il contesto in cui lo si inserisce è quello della mediazione.

Ben inteso che il contesto che sto provando a descrivere non allude né alla presa in carico, né alla cura della persona e delle sue molteplici espressioni soggettive – appannaggio di altre discipline e professionalità – bensì attiene ad uno spazio, la mediazione, ove la riservatezza e la confidenzialità possono aprire una porta alla conflittualità, quindi alla sua manifestazione, e ancora ad uno spazio ove la paura del giudizio, del fallimento, la frustrazione, l’orgoglio e la scarsa autostima possono partecipare al pari delle pretese e dei diritti.

Accade dunque che il mediatore impari ad aprire quella porta, se richiesto, a lasciare entrare ciò che reclama di farvi ingresso, ad offrire quello spazio protetto affinché anche sul piano emotivo avvenga quello scambio comunicativo tra le parti, prodromico  e necessario per una negoziazione proficua.

2)      Sempre in virtù del tuo ruolo di coordinatrice della formazione del servizio di conciliazione e sulla base delle conoscenze acquisite sul ‘campo’, su  quali aspetti  ritieni che il mediatore debba far convogliare  l’attenzione delle parti per dare il giusto valore alle emozioni?

Premesso che il campo d’indagine richiede molta attenzione nel muovere passi al suo interno e che, al di là delle tecniche di cui può dotarsi il mediatore, la sensibilità e il personale rapporto con le emozioni possono contribuire a rendere ogni intervento particolare e irripetibile, ciò nonostante è indubbio che tra le abilità richieste al mediatore vi sia quella di saper gestire le espressioni di emotività.

In primo luogo, ritengo che il mediatore si debba porre nella condizione di offrire ai soggetti coinvolti uno spazio protetto, che potrà essere costruito idealmente con le espressioni più confortevoli e favorevoli – proprie del discorso introduttivo –  a generare un clima di rispetto reciproco e che nella mia immaginazione potrei rappresentare come una grande sfera che avvolge  il luogo della mediazione e i soggetti che vi partecipano. Nella sfera ciascuno potrà confidare nella libertà di movimento e di espressione e potrà altrettanto essere confortato dal contorno della sfera stessa, che rappresenta la capacità di contenere gli eccessi.

In  tale contesto, se ben costruito e sentito dai presenti di fiducia e privo di giudizio, il mediatore potrà dunque offrire la propria personale disponibilità, oltre che a svolgere il proprio ruolo di facilitatore, anche ad aprire la porta alle emozioni.

Al mediatore, poi, quando accadrà di sentire bussare a quella  porta, competerà l’onore e l’onere di dare il benvenuto a quelle manifestazioni,  di accoglierle al tavolo, di chiamarle con il loro nome e di assicurarsi che prendano il giusto spazio e il giusto tempo. Si tratterà di una preziosa occasione per uno scambio comunicativo importante tra i presenti, foriero di chiarimenti, liberazioni e  perché no, anche di sfogo di emozioni represse e latenti.

3)      Quali tecniche ritieni possano essere utilizzate dal mediatore per affrontare le emozioni che si celano dietro il conflitto e superare i vincoli dettati dalle posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti nella negoziazione?

La scelta di come gestire le emozioni dei soggetti che partecipano al tentativo di mediazione dipende dallo stile del mediatore e dal suo personale approccio.

Tuttavia, molte teorie della comunicazione e della negoziazione e non da ultimo le tecniche proprie del ‘negoziato emotivo’ e della comunicazione non violenta propongono, per ri-attivare il canale comunicativo tra le parti, in prima istanza,  l’uso della riformulazione, della parafrasi. Tali tecniche si prestano, in particolare, all’operazione di avvicinamento delle parti nell’interpretazione dei fatti della questione  che li vede distanti (passaggio obbligato da cui muovere nella creazione di un terreno comune e di dialogo). Fatti che, di norma, sono oggetto di una  personale lettura, che avviene attraverso filtri soggettivi – mutuati dall’esperienza –  e che rappresentano per ognuno la chiave di interpretazione della realtà. Che molto spesso non contempla il punto di vista dell’altro. Che contribuisce alla costruzione della nostra verità, che  conforta e dona sicurezza.

Con l’uso di queste tecniche il mediatore, in primo luogo, si rende veicolo della verità dell’altro, consentendo, all’altro, un ascolto, forse attento e sicuramente per la prima volta disponibile a considerare – non  per altro perché veicolate da un terzo –  possibili nuove informazioni, altre e diverse interpretazioni della medesima realtà. L’effetto che si può produrre è quello di riconsiderare  il significato che si era attribuito ad un determinato fatto, evento, pretesa, posizione e ciò può, conseguentemente produrre l’effetto di mutare le reazioni collegate e collegabili al soddisfacimento dei propri interessi e bisogni e quindi, di mutare le dinamiche nella relazione.