Un approccio sociologico alla risoluzione delle dispute: intervista a Luigi Cominelli

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Gli scaffali delle librerie hanno accolto tra il 2010  e il 2013 una gran quantità di pubblicazioni sul tema della mediazione. Molti di questi testi si sono concentrati sull’illustrazione delle tecniche di mediazione e sull’interpretazione del D.Lgs.28/2010 e della normativa da esso discendente. Si discosta da questa corrente La risoluzione delle dispute. Prassi e teorie per la mediazione, il negoziato e il giudizio, un testo che approccia il profilo sociologico del tema, offrendo una lettura stimolante e innovativa dell’argomento. L’autore è Luigi Cominelli, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna Negotiation and Alternative Dispute Resolution. Lo abbiamo incontrato per una breve intervista.

1) Il testo è dedicato non solo alla mediazione ma più in generale alla risoluzione delle dispute. Per quale motivo?
Credo che ogni professionista oggi debba avere nel suo armamentario una conoscenza di base di ciascuna delle tecniche con cui può svolgere il suo lavoro al meglio. La mediazione è uno dei metodi che, chi si occupa professionalmente di dispute, oggi deve conoscere. È illusorio però pensare che la mediazione possa ribaltare di punto in bianco l’etica e lo stile professionale di chi si occupa del contenzioso. La mediazione, e ogni altra forma di negoziazione sofisticata, si devono e si possono inserire nel quadro dei rimedi esistenti. È quindi meglio raggiungere una visione integrata dei metodi di risoluzione delle dispute, evitando di attribuire alla mediazione virtù salvifiche che non ha.

2) Nel libro si parla di una teoria generale della risoluzione delle dispute. Può spiegarne le ragioni?
Quando nasce un nuovo campo di studi nelle scienze sociali, all’inizio si compone sempre di studiosi che da prospettive epistemologiche differenti si “incontrano” e mettono in comune, in maniera ancora piuttosto disorganica, quello che hanno scoperto su un particolare fenomeno umano o sociale. Nel campo delle dispute, questo è avvenuto molto di recente, e sta ancora avvenendo sotto i nostri occhi. Stiamo dunque assistendo alla nascita e alla cristallizzazione di una serie di concetti e di ipotesi di base che riguardano i fenomeni conflittuali, e alla canonizzazione di una teoria che cerca di dettare alcune leggi generali sulle dispute. È una fase per certi versi ancora pionieristica, ma anche stimolante e creativa, che negli ultimi anni è stata alimentata soprattutto dal contributo delle neuroscienze e delle scienze psicologiche e del comportamento. Siamo ben lontani da un quadro di riferimento stabile generale, cosa che forse è irraggiungibile, ma la tendenza all’interdisciplinarietà e all’integrazione delle conoscenze, in questo come in altri campi, è certamente positiva.

3) Oggi si parla sempre più spesso di mediazione ma si fatica a parlare di negoziazione, pure essendo uno strumento alla base di ogni attività professionale e umana. Per quale motivo?
La negoziazione è sempre vista come attività pratica bruta, come uno sporco compromesso reso indispensabile dalla difficoltà di fare giustizia e rendere il diritto nel mondo reale. Forse questo è vero, ma qualsiasi pratica bruta può essere analizzata in termini di fenomeno empirico, e ciò è molto utile anche per ridefinire e indirizzare meglio i concetti più alti di giustizia e di diritto. Se sappiamo che una tattica o un errore negoziale sono causati da un vincolo di tipo sociale o biologico, ci avviciniamo a un diritto mite e a una giustizia del caso concreto.

4) Relativamente alle scelte del legislatore in tema di mediazione, può dare una sua opinione personale?
Il pregio principale delle leggi approvate negli ultimi anni, e soprattutto del D.Lgs.28/2010, è stato di costringere i professionisti a capire cosa fossero le alternative al giudizio. Questo non è poi accaduto in maniera del tutto soddisfacente, ma negli ultimi tre anni è successo molto, specie con la mediazione obbligatoria, ora eliminata dalla recente pronuncia di incostituzionalità. Tutto il movimento ha dato una spinta anche all’offerta di formazione in questo campo, sia professionale che universitaria. L’inserimento di un corso di Negoziazione e Adr nel curriculum di giurisprudenza della Statale di Milano sarebbe stato impensabile solo fino a pochi anni fa. Il D.Lgs. 28/2010 ha dei buoni spunti, ma anche numerose ingenuità e iper-semplificazioni proprie del dirigismo burocratico che ispira la nostra normazione, incapace di cogliere le sottigliezze e prevedere le dinamiche di ciò che rimane per sempre un processo negoziale assistito. Forse questa opera di sensibilizzazione e di mobilitazione poteva riuscire anche in altro modo, e probabilmente rischiamo di scontare a lungo l’improvvisazione e gli errori della prima fase. Nonostante tutto, incontrando e ascoltando le opinioni di avvocati e mediatori, credo che durante la fase dell’obbligatorietà gli enti di mediazione più seri (la maggioranza) abbiano messo le basi per un futuro solido.