Mediatore. Che lavoro è?

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di Carola Colombo*

Ecco, è successo. L’abbiamo temuto, l’abbiamo scongiurato, l’abbiamo negato, e in qualche momento forse l’abbiamo anche sperato. Un braccio di ferro tra i giudici della Consulta ha spazzato via il boccone più indigesto che i mediatori più rodati e i cultori della materia hanno dovuto ingoiare nel 2010: la mediazione obbligatoria. Come una medicina amara ma terapeutica, questo rospo è stato diligentemente digerito; abbiamo incrociato le dita, ci siamo turati il naso, abbiamo distolto lo sguardo schizzinoso, convinti che la diffusione della cultura della mediazione meritasse qualche sacrificio… I numeri ci hanno dato ragione, ma non abbastanza per scansare il diritto.
Quindi eccoci qui a guardare al nuovo scenario che tanto nuovo non è: le lancette tornano indietro al febbraio 2011 (potremmo anche dire al 3 marzo 2010). La mediazione indossa l’abito che meglio valorizza la sua figura: la volontarietà. Certo è un abito poco pratico, in pochi lo apprezzano. Non segue la moda, è all’avanguardia e allo stesso tempo un po’ vintage. E non si capisce bene in quali occasioni vada indossato. Quindi, nel dubbio, lo si indossa pochissimo.
Il mediatore, come un artista sensibile catapultato nella Metropolis di Fritz Lang, vorrebbe proporsi, vorrebbe spiegare come lavora e come il suo lavoro può essere utile. Ma nessuno si ferma ad ascoltare. Perché forse non sa trovare le parole per spiegare.
Queste parole, però, dovremo proprio trovarle se vogliamo avere un futuro; magari meno “scoppiettante” di quello che si era prospettato fino a qualche settimana fa, ma non per questo meno soddisfacente.
Nel cercarle, mi sono immaginata questo
Scena uno
Avvocato: “Vabbè, facciamola ‘sta mediazione, tanto noi siamo certi delle nostre ragioni. I documenti sono chiarissimi. Provi a guardarli e li metta a confronto con quelli della controparte. Vinciamo di sicuro!”
Mediatore: “Si, beh… sa, in mediazione più che cercare ragioni e torti, si cercano gli interessi delle parti. Più che il “giusto”, proviamo a trovare il “meglio”. Il mediatore non è né un giudice né un arbitro; è un facilitatore”
Avvocato: “Si certo, lo so benissimo….” cerca di darsi un tono come chi sa perfettamente di cosa si sta parlando. Ma i suoi occhi non riescono a nascondere il cocktail di insofferenza per le parole ascoltate, di irritazione per il tempo che sta perdendo e di rassegnazione perché si sa, siamo in Italia…., il tutto shakerato da un interrogativo: che accidenti significa “facilitatore”?
Scena due
Avvocato: “…. e dato che noi abbiamo già formulato un paio di proposte che controparte non ha accettato, riteniamo inutile partecipare alla mediazione”
Mediatore: “Beh, d’altra parte, se le avessero accettate non ci sarebbe bisogno della mediazione. Che ne dice?”
Avvocato: “Si ma è evidente che non hanno nessuna intenzione di conciliare, altrimenti si sarebbero mostrati più disponibili di come hanno fatto”
Mediatore: “Ehm, è piuttosto raro che le parti arrivino in mediazione già convinte di voler mediare. È solitamente il contrario. È per questo che serve l’intervento del mediatore che ha un ruolo di facilitatore nella generazione del processo negoziale…”
Avvocato: “Uhm….” mentre sotto il suo viso scorrono i seguenti sottotitoli: che potrà mai fare questo che non abbia già fatto io…?”

E chissà quante altre scene simili a queste si sono verificate.
A questo punto il mediatore dovrebbe spiegare il significato di “facilitatore”, a chi mai ammetterebbe di non avere idea di che cosa si sta parlando… Il vocabolo è praticamente introvabile sui dizionari della lingua italiana; quindi dobbiamo spiegare qualcosa che per l’uomo della strada non esiste e, possibilmente, senza essere eccessivamente tecnico o didascalico, senza banalizzarlo o peggio senza cadere nel ridicolo.
Un giudice giudica, un avvocato difende, un architetto progetta, un commesso vende, un insegnante insegna, un corriere trasporta. E un mediatore? Media? Nooooo, ce l’hanno spiegato in tutti i modi: non è lui che media. Sono le parti a farlo con il suo aiuto. Di facilitatore. Quindi???? (non vi ricorda la canzoncina della Zecchino D’Oro: “Il coccodrillo come fa? Non c’è nessuno che lo sa…”).
L’identificazione precisa di cosa fa il mediatore non è cosa di poco conto. Certo non mi sto riferendo ai mediatori che si suppone (e si spera!!!) sappiano cosa fanno. Mi sto riferendo all’utenza che può chiedere il suo intervento solo se ha chiaro che tipo di aiuto può ricevere da lui.
Se mi fratturo un piede l’ortopedico me lo ingessa, se mi si rompe una tubatura un idraulico la ripara, se si blocca l’auto il meccanico l’aggiusta, se litigo con qualcuno il giudice mi dice se ho ragione…. Ma perché dovrei andare dal mediatore?
Davanti agli avvocati scettici e ai loro clienti perplessi, come posso spiegare cosa faccio durante una mediazione?
Si dice che non sai davvero una cosa se non sei in grado di spiegarla ad un bambino…
E allora partiamo da lì, da come spiegherei il mio lavoro ad un bambino, da come ho spiegato il mio lavoro a mio figlio.
“Che sia la causa o che sia l’effetto, quando due persone litigano, smettono di comunicare: non solo non sanno più trovare le parole per dirsi le cose importanti, ma non sono nemmeno più in condizione di ascoltarsi. Come quando si parla al telefono con qualcuno che si trova in una zona dove c’è poco campo, e il suono metallico arriva a scatti; e sotto c’è un fischio continuo che fa venir voglia di non sentire più nulla.
La comunicazione è una bussola: se smarrisci la bussola non sai più in che direzione stai andando. Il litigio spegne ogni fonte di luce tra i due disputanti che al buio si muovono come mosche su un vetro.
Ecco cosa fa il mediatore: prima di tutto aiuta le parti a ritrovare la bussola smarrita, a fare in modo che possano riappropriarsi delle parole perse e riscoprire la disponibilità e la curiosità di ascoltarsi, anche mentre si dicono cose spiacevoli.
Tuttavia la bussola da sola non è sufficiente: ti indica in che direzione stai andando ma non se è quella giusta. Per questo il lavoro del mediatore non è ancora finito.
Poiché la destinazione spesso non è chiara a nessuno dei litiganti, il mediatore con il loro aiuto e facendo domande disegna una mappa e, con ciascuno dei due, valuta quale tra i possibili punti di arrivo porta il maggiori vantaggi per tutti.
La luce che nel frattempo si è accesa con il ritrovamento della bussola non è ancora sufficiente perché i litiganti si muovano agevolmente da soli. Allora il mediatore indossa uno di quei caschi da minatore, quelli con la luce davanti. Si mette in mezzo a loro e li prende per mano, accompagnandoli verso il traguardo individuato. Con lui è più facile perché il fascio di luce del casco illumina la strada e, tenendogli la mano, ciascuno si sente al sicuro e pronto a lasciarsi alle spalle il conflitto che lo faceva soffrire.
Ecco cosa fa il mediatore! Rende più facile ciò che per le persone che stanno litigando è molto difficile. E lo fa guardando sempre avanti, assicurandosi in ogni momento che stiano bene. Ciò che è stato diventerà solo un ricordo che, allontanandosi, non farà più male e smetterà di fare paura, come succede quando ci si sveglia dopo un brutto sogno.”

Come si dice: parlare a nuora perché suocera intenda.
Potremmo parafrasare: parlare a figlio perché mamma e papà avvocati intendano….
Mi piacerebbe leggere qualche altro modo di spiegare il nostro lavoro, rivolto agli adulti ma che abbia un suono armonico, che faccia venir voglia di ascoltare come va a finire…
In fondo è solo una questione di comunicazione, giusto? E riprendiamo a fare cultura.

* mediatore e commercialista in Milano