Mediazione e reti d’impresa

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rete di Riccardo Maggioni *

In attesa di leggere la motivazione con cui la Corte Costituzionale ha, come è noto,  ritenuto illegittimo l’obbligo di preventiva mediazione sancito in determinate materie dal D. Lgs. 28/2010, si può peraltro continuare ad affermare che, se da un lato è appunto venuta meno l’obbligatorietà della mediazione, dall’altro lato non ne è venuta meno la potenziale utilità quale metodo per la risoluzione dei conflitti, come molti hanno potuto concretamente sperimentare prima della sentenza della Consulta.
Lo stesso legislatore delegato aveva del resto già avuto cura di precisare espressamente nel suddetto D. Lgs. 28/2010, al capoverso dell’art. 2 intitolato alle controversie oggetto di mediazione, che la disciplina dettata dalla normativa legale “non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali,…”.
E’ appena il caso di ricordare come la mediazione si fondi su principi intuitivi di carattere universale, sottesi a ogni forma di cooperazione tra gli uomini in vista del perseguimento di obbiettivi comuni o complementari.
La mediazione cd. “facilitativa”, in particolare, è funzionale all’esigenza di aiutare tutte le parti coinvolte in un conflitto a negoziare, mettendo a fuoco gli effettivi interessi di cui ciascuno è portatore nella prospettiva di reperire in maniera tempestiva soluzioni creative e al tempo stesso concrete, gestendo altresì gli aspetti emotivi in modo da evitare che possibili incomprensioni di carattere meramente personale precludano il raggiungimento di un’intesa.
Dati tali presupposti, ad avviso di chi scrive un possibile terreno d’elezione per la pratica della mediazione può essere costituito oggi dalla materia dei contratti di rete d’impresa, argomento che risulta oltretutto di particolare attualità.
Il contratto di rete di impresa è stato invero previsto originariamente dall’art. 3 comma IV ter della L. n.33/2009, ove ne viene data la seguente definizione: “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”.
L’istituto è stato in seguito oggetto di ulteriori interventi legislativi, anche recentissimi, che senza modificare la definizione di principio ricordata sopra hanno precisato le caratteristiche della rete ed introdotto incentivi fiscali, circostanza quest’ultima di non secondaria importanza (Vd. l’art. 42 comma 2 del D.L. n.78/2010 convertito dalla L. n.122/2010, l’art. 45 del D.L. 83/2012 convertito dalla L. 134/2012 ed infine l’art. 36 comma 4 del D.L. 18/10/2012 n.179 in corso di conversione).
In tempi di società liquida e crisi economica, il legislatore ha inteso così offrire alle piccole e medie aziende uno schema agile e duttile di contratto con comunione di scopo e vocazione plurilaterale, per favorirne l’aggregazione libera e fluida ma non priva di regole – peraltro rimesse essenzialmente all’autonomia ed alla responsabilità delle imprese interessate – nella prospettiva di favorirne la competitività e la capacità di fronteggiare al meglio le esigenze mutevoli e contingenti del mercato, senza però subire la costrizione di schemi normativi rigidi e dover ricorrere a pesanti infrastrutture.
A sommesso avviso di chi scrive è di tutta evidenza che per il successo della rete d’impresa nel realizzare una fattiva collaborazione dei singoli partecipanti tra loro, ottenendo per ciascuno l’auspicabile – e sperato – valore aggiunto dalla partecipazione, molto dipenderà dalla tempestività e dalla coordinazione dell’iniziativa nelle circostanze contingenti e, in tale prospettiva, l’eventuale insorgenza tra le parti di questioni tali da impedire soluzioni comuni e condivise dovrà trovare una risposta celere ed adeguata, tale cioè da non pregiudicare un rapporto sorto nell’ottica di una collaborazione protratta nel tempo, il tutto in maniera riservata e scongiurando possibili pregiudizi derivanti da eventuali fughe di notizie che trapelassero all’esterno.
Non v’è chi non veda allora come tali esigenze evochino in maniera del tutto naturale la già citata mediazione facilitativa condotta da un terzo imparziale, indipendente e neutrale, tale da assicurare celerità nella risoluzione di eventuali conflitti insorti, riservatezza verso l’esterno e, se del caso, anche verso l’interno della stessa rete (come potrebbe risultare necessario per l’imprenditore nelle prime battute, onde valutare l’opportunità di instaurare una effettiva relazione di fiducia), in una prospettiva orientata alla conservazione di un rapporto tendenzialmente di durata.
In un contesto di rete, risulta tanto più opportuno che i partecipanti stipulino un contratto in cui sia già prevista ab origine la clausola di mediazione facilitativa per il pur non auspicabile caso di conflitto tra loro, così da manifestare in primo luogo consapevole e reciproca adesione al metodo ed ai valori della mediazione, che – come si è detto – sono alla base di qualunque atteggiamento cooperativo ed attività collaborativa.
L’inserimento di una clausola di mediazione facilitativa nel contratto di rete, predisporrà poi un meccanismo consensuale per perseguire tempestivamente il componimento di possibili controversie insorte, in una materia in cui promuovere un contenzioso avanti all’Autorità Giudiziaria, ma anche nella più celere sede arbitrale, risulterebbe del tutto incompatibile con la natura stessa del rapporto di rete, decretando inevitabilmente la fine di qualunque possibilità di collaborazione, pur potenzialmente proficua per le parti.

* Mediatore, Avvocato in Milano