Il problema della esatta qualificazione di un diritto come disponibile o indisponibile comincia a porsi in giurisprudenza e non tanto in relazione alla corretta formulazione della proposta del mediatore, ai sensi dell’art. 11, D. Lgs. 28/2010, pratica quella della proposta che ha una minima diffusione, soprattutto per la cautela dei difensori e del mediatore, consapevoli delle possibili conseguenze di un proposta non accettata in sede di giudizio e nemmeno in relazione alla contestazione dell’efficacia esecutiva del verbale di accordo contrario a norme di ordine pubblico o a norme imperative, ex art. 12, norme dalle quali dovrebbero discendere diritti indisponibili, bensì in ordine alla più generale applicabilità o inapplicabilità della mediazione, come stabilito dalla norma di principio di cui all’art. 2, co. 1, decreto cit.
Come noto, l’art. 5, u.c., stabilisce che se l’esercizio di un diritto – ovviamente disponibile – è soggetto a termine di decadenza e il titolare di quel diritto avvia una mediazione, quel termine di decadenza viene impedito per una sola volta e il termine di decadenza decorre nuovamente a partire dal deposito del verbale del mediatore presso la segreteria dell’organismo.
Il diritto ad un’equa riparazione ai sensi della Legge 89/2001 (c.d. Legge Pinto), nasce quando un soggetto viene coinvolto in un giudizio di durata irragionevole ed è assoggettato, quanto al suo esercizio, al termine di decadenza di sei mesi.
Il caso che sarà preso in esame dalla giurisprudenza nel suo più alto grado sta avendo il seguente svolgimento:
Tizia, in qualità di condòmina, impugna avanti all’autorità giudiziaria una delibera condominiale a suo avviso lesiva dei criteri di ripartizione di una spesa per manutenzione straordinaria. Percorre tutti i gradi giudizio, dal primo fino all’ultimo e la suprema corte di cassazione raggiunge una decisione definitiva dopo undici anni dall’inizio del giudizio di primo grado.
In conseguenza della durata irragionevole di quel giudizio, Tizia propone contro lo stato un giudizio di equa riparazione e rivolge la sua domanda alla corte di appello territorialmente competente. Prima di depositare il ricorso alla corte territoriale, Tizia avvia una procedura di mediazione avanti ad un organismo di conciliazione. Il ministero, pur invitato dall’organismo tramite l’avvocatura, non si presenta avanti al mediatore senza addurre alcun motivo a giustificazione della sua assenza. La procedura di mediazione si conclude quindi con esito negativo per assenza della parte invitata. Tizia, valendosi dell’applicazione dell’art. 5, u.c., Decreto 28, propone il giudizio di equa riparazione non entro il termine di decadenza semestrale ma entro il nuovo termine di decadenza come rideterminato dall’art. 5. La corte di appello rigetta il ricorso in quanto tardivo, adducendo a motivazione che il diritto all’equa riparazione è di natura indisponibile e che al suo esercizio non si applica l’art. 5, u.c. cit., dal momento che il D.Lgs. 28/2010 si applica solo ai diritti disponibili, come sancito dell’art. 2, co. 1.Tizia propone ricorso avverso la decisione della corte di appello e la sua causa viene assegnata alla sezione III della Suprema corte. Il presidente di sezione ha recentemente assegnato il fascicolo al primo presidente delle sezioni unite per gli opportuni provvedimenti.
Il caso deve ancora essere deciso, ma pare evidente che in materia soggetta alla legge Pinto esiste un diritto indisponibile: quello alla durata ragionevole del giudizio. La riparazione di quel danno è disponibile. Stesso ragionamento vale per il diritto alla salute o alla libertà o a tanti altri diritti sulla cui violazione le norme imperative o di ordine pubblico non consentono alcuna transazione da parte del soggetto leso e prima che la lesione si verifichi. Una volta intervenuta la violazione, il soggetto leso ben può disporre sull’ammontare del risarcimento a lui dovuto dal responsabile.
Dalla soluzione della questione può dipendere forse un notevole ampliamento dell’ambito di applicabilità della mediazione.
di Giorgio Marzocchi