– «Dopo dieci anni, durante i quali ho reso il suo prodotto il più venduto nel Paese, mi ha tolto l’esclusiva di distribuzione e si è rivolto anche ai miei concorrenti…».
– «Ho rinunciato a molto tempo libero per ultimare questo progetto, lavorando praticamente da solo. Ho scoperto che è stato accettato solo per caso, parlandone con un collega. Pare che il mio nome non sia nemmeno stato fatto…».
– «Mio fratello non sa cosa abbia voluto dire curare e provvedere ai bisogni di nostra madre, durante la malattia. Come può pensare di tenersi tutti i beni di famiglia, ora, proponendomi in cambio questa somma ridicola…».
Il tratto che casi simili – estremamente frequenti in mediazione – hanno in comune consiste nella lesione di quello che Maslow ha indicato come una delle necessità umane fondamentali: il riconoscimento. Tale lesione, o meglio la percezione che tale lesione sia avvenuta, rappresenta per il lavoro del Mediatore uno degli elementi cruciali e di più difficile gestione.
Ciò che risulta fortemente implicato in tali situazioni è il ruolo delle considerazioni soggettive in relazione alla percezione di correttezza, giustizia ed equità del comportamento altrui. In sostanza, quella che può venir percepita come una vera e propria necessità di “far pagare” l’altra parte entra in gioco quando il suo comportamento si distacca, in misura insostenibile, dalle norme e dai valori etici, morali o sociali che si ritengono fondamentali.
Tale fenomeno è affascinante poiché rappresenta uno dei numerosi esempi di come il conflitto interpersonale non sorga unicamente da fattori legati alla distribuzione delle risorse, ma possa affondare le radici in elementi emotivi e talvolta irrazionali, oltretutto strettamente dipendenti dalle percezioni e dai valori individuali.
Nell’ambito della ricerca scientifica e sperimentale sul decision-making, si sono ricreate queste condizioni nell’Ultimatum Game: due giocatori devono dividersi una somma e, mentre uno decide le condizioni di divisione, l’altro decide se accettarle o meno. In caso positivo, la spartizione avviene come stabilito; in caso negativo, nessuno dei due guadagna un centesimo. In particolare, si è notato che quando le condizioni di spartizione divenivano inique per l’accettante, questi preferiva rinunciare anche ad un minimo guadagno, trascinandosi però “nella miseria” anche chi aveva determinato le quote.
La scelta non è, evidentemente, compiuta in considerazione di fattori economici che, anzi, in tali condizioni venivano consapevolmente ignorati. A questo portano anche gli interessanti, ulteriori dati che il citato articolo (come altri, successivi) ci fornisce su come funzioni il nostro cervello. Nell’esperimento, infatti, l’attività neurale dei giocatori era monitorata tramite FMRI (functional magnetic resonance imaging): le aree dell’insula anteriore e della corteccia pre-frontale dorso-laterale erano entrambe attivate durante la reazione a proposte di divisione percepite come scorrette. In sostanza, una conferma a ciò che ci può suggerire il cuore: il filtro soggettivo attraverso cui passa la valutazione di questi comportamenti non è solo razionale, bensì anche emotivo (la rabbia o la frustrazione per la scorrettezza subìta).
La base razionale ed emotiva di queste scelte e della c.d. “punizione altruista” – con cui i membri di un gruppo che si percepiscono come “onesti” sono disposti ad infliggere una sanzione ai loro pari che violano le regole anche qualora ciò rappresentasse per loro stessi un costo – è di recente stata ripresa, in un interessante saggio, da Elkhonon Goldberg. L’Autore ha ripercorso alcuni successivi studi sperimentali, riconnettendoli a classici del decision-making come i contributi di Kahnemann e Tversky. Goldberg riconduce le dinamiche innescate da questi meccanismi punitivi, causati dalla percezione di una scorrettezza subìta, a quelle evidenziate dal c.d. effetto framing (incorniciamento), formulato sulla dimostrazione che le modalità con cui una situazione viene descritta influiscono in modo sostanziale sulle nostre scelte.
Parrebbe quindi che, a livello neurale, percepire di essere stati oggetto di un comportamento scorretto, sleale ed ingiusto costituisca una cornice in grado di attivare tanto il nostro “cervello razionale” (individuato nella corteccia pre-frontale), quanto quello “emotivo” (le aree dell’insula anteriore). Tale frame condizionerebbe le nostre scelte e ci condurrebbe a compierne anche di consapevolmente diseconomiche, punitive e ritorsive nei confronti di chi percepiamo nel torto.
Come ho scritto, è frequente notare attivazioni simili durante una mediazione. Se mi sono sentito di mantenere il condizionale in relazione alla sintesi della letteratura scientifica riportata (più che altro, per prevenire possibili errori personali di giudizio in condizioni di incertezza…conoscitiva!), posso decisamente eliminarlo in riferimento al concreto comportamento di molte parti che vivono queste situazioni. In mediazione, questo può determinare impasse o, comunque, alcune difficoltà di gestione.
Queste ricerche possono fornire alcuni spunti di lavoro per il Mediatore. La scorrettezza subìta costituisce il frame della parte. Tale cornice è definita dalla percezione che la parte ha avuto della situazione, dai propri criteri di giustizia, lealtà e correttezza, e da quanto la percezione del comportamento altrui si distacca dalle proprie aspettative. Cercare di comprendere questi elementi potrebbe essere utile per capire il punto di vista della parte, per intervenire come agente della realtà e per favorire la riformulazione del conflitto alla luce di eventuali ulteriori interessi emersi. Talvolta un comportamento potrebbe essere percepito come scorretto in seguito ad un’incomprensione. Talvolta, ancora, il substrato emozionale della reazione “punitiva” potrebbe non essere consapevole, o essere accentuato da una escalation del conflitto. Potrebbe così portare a dinamiche e scelte negoziali poi rimpiante, magari perchè lesive di bisogni e necessità più importanti. Il condizionale, qui, è ancora d’obbligo. Come un profondo lavoro di esplorazione che il Mediatore deve condurre con la parte.
di Corrado Mora