Le fasi della mediazione

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Quante sono le fasi della mediazione? La Circolare 20 dicembre 2011 del Ministero della Giustizia – Interpretazione e misure correttive del decreto interministeriale 145/2011 – nel portare chiarimenti rispetto agli obblighi di tirocinio assistito a carico di ciascun mediatore, specifica che “il compimento del tirocinio formativo richiede che il mediatore assista, in modo diretto, allo svolgimento … di taluna delle fasi in cui si svolge il percorso di mediazione in presenza delle parti (dalla prima sessione a quella di redazione del verbale conclusivo)” e conclude che “ciascuna fase del percorso di mediazione costituisce momento utile per il conteggio dei venti casi di mediazione da attuare nel biennio” e che “costituisce partecipazione anche la sola presenza ad una singola fase di cui si compone il percorso di mediazione“, potendosi ritenere che i termini “fase” e “sessione” siano utilizzati alternativamente.

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Questo fondamentale chiarimento ha portato gli Organismi di Mediazione a specificare in vario modo già nel verbale conclusivo, a beneficio dei mediatori tirocinanti presenti, che “sono state svolte le seguenti fasi del procedimento di mediazione: (segue elenco delle fasi svolte)” e anche la certificazione loro rilasciata riporta ora il dettaglio delle fasi effettivamente svolte.

Mancando nelle indicazioni ministeriali l’elencazione “ufficiale” delle fasi in cui si dovrebbe articolare il procedimento di mediazione, vi è la tendenza ad assumere come dato di fatto e riferimento “dottrinale” quanto la quasi totalità dei testi e manuali sulle tecniche di mediazione pubblicati in Italia in effetti propone come suddivisione teorico/pratica dello svolgimento della procedura, ovvero (in sintesi): fase introduttiva di presentazione (o monologo del mediatore); fase congiunta di discussione fra le parti; fasi di approfondimento in incontri riservati fra il mediatore e ciascuna delle parti (caucuses); fase conclusiva di discussione e redazione del verbale di mediazione con eventuale accordo allegato. Dunque, la sostanziale uniformità della proposta metodologica sembra costringere la suddivisione dello svolgimento della mediazione lungo un unico binario  composto di quattro fasi.

Il numero e il nome di queste ripartizioni di un continuum procedurale, compreso fra i due estremi dell’inizio e della conclusione, sono tuttavia definiti dagli arbitrari criteri di riferimento a ciò utilizzati e possiamo dunque chiederci se sia ipotizzabile un modello di mediazione che si sviluppi attraverso una serie di fasi diversamente strutturate per numero e denominazione.

La suddivisione sopra esposta sembra considerare ad esempio il ruolo attivo delle parti e la loro interazione, per cui in un modello semplificato risultano:

– prima fase in cui interviene solo il mediatore;

– seconda fase in cui intervengono il mediatore e le parti congiuntamente;

– terza fase in cui interviene il mediatore e ciascuna parte singolarmente (caucuses) anche in più incontri ripetuti;

– quarta fase in cui intervengono il mediatore e le parti congiuntamente.

Già questo modello può presentare varianti di combinazioni se alterniamo più incontri riservati con sessioni congiunte prima di quella finale, oppure se si incontrano separatamente anche i legali che accompagnano le parti, ecc.

In alternativa potremmo considerare ad esempio l’aspetto negoziale dell’incontro e individuare così le seguenti fasi:

1  esposizione delle posizioni iniziali;

2  elicitazione degli interessi reali;

3  ricerca delle soluzioni alternative;

4  negoziazione conclusiva.

In considerazione dell’obiettivo formativo per il tirocinante sembra però ragionevole  considerare il ruolo del mediatore all’interno del procedimento e dunque:

fase uno, il mediatore introduce il procedimento;

fase due, il mediatore ascolta le posizioni delle parti, guidandole  nell’esposizione degli argomenti, e le riassume;

fase tre, il mediatore approfondisce con ciascuna parte le singole posizioni e ricerca con loro i reali interessi;

fase quattro, il mediatore guida il confronto fra le parti sui loro reali interessi aiutandole eventualmente nella ricerca di una soluzione condivisa;

fase cinque, il mediatore procede alla formalizzazione dell’accordo raggiunto e alla redazione del verbale.

Come appare evidente, anche in questo caso le singole fasi potrebbero essere oggetto di ulteriori divisioni, ad esempio la fase due potrebbe  scindersi nella esposizione delle parti e nella sintesi del mediatore, e la fase quattro vedere un momento di confronto sulle proposte emerse dalle sessioni riservate formalmente distinto da quello della ricerca di possibili soluzioni alternative (per cui il mediatore applica tecniche ad hoc).

Lascio al lettore continuare l’esercizio di individuazione di macro e micro-fasi variando i possibili parametri di riferimento.

Una scorsa veloce alla letteratura anglosassone in tema di mediazione propone modelli a quattro, cinque, sei e perfino sette fasi, considerando, ad esempio, anche la fase di pre-mediazione, da noi normalmente amministrata dalla segreteria dell’organismo, ma oltre oceano gestita invece dallo stesso mediatore attraverso colloqui preliminari con le parti, l’invio e la raccolta di questionari, ecc.

Una vera e propria sfida a superare il modello “a fasi” viene poi da approcci alla mediazione diversi da quello tradizionale e prevalente di tipo problem-solving, quale è ad esempio quello della Mediazione Trasformativa.

Secondo la visione trasformativa il conflitto fra le parti è in realtà un momento di crisi nella loro interazione e dunque l’intervento di ADR non è più immaginato come una parentesi a sé stante nella vita degli individui, con un inizio e una conclusione definiti e limitati dall’azione del mediatore finalizzata a consentire loro di trovare una soluzione alla specifica controversia, ma questa figura terza si fa invece carico di un prima, e soprattutto di un dopo, che estendono l’orizzonte temporale del suo intervento oltre lo svolgimento del mero procedimento, incidendo sulla capacità soggettiva delle parti di affrontare in generale le questioni della vita, fra cui anche le liti di tipo “commerciale” come potrebbe essere quella che le ha portate davanti a lui.

Questo particolare approccio lascia molto spazio alle parti nella scelta degli argomenti di cui discutere, delle modalità e dei tempi di svolgimento dell’incontro, tanto da vedere più diluiti e sfumati i contorni delle fasi così come descritte precedentemente. Addirittura esso si qualifica come un processo interattivo “circolare” rispetto a quello “lineare” classico e la suddivisione in sessioni ne risulta dunque più arbitraria e meno formalizzabile.

In conclusione, senza voler entrare ulteriormente nel confronto fra i diversi approcci alla mediazione, ciò che voglio evidenziare è la obiettiva arbitrarietà dello scegliere di definire in modo categorico quante e quali sono le fasi o sessioni della procedura e i rischi sostanziali connessi al vincolare il mediatore al loro rigoroso rispetto, senza permettergli, invece, di partecipare inter-partes (e non super-partes) ad un percorso più fluido e dai contorni definiti solo dal divenire della interazione fra le parti stesse.

Ciò è forse più facile da realizzare se si supera una visione “tecnicistica” del fine della mediazione permettendo invece al mediatore di perseguire nella massima libertà di azione il proprio scopo “facilitativo”, magari all’interno della più ampia visione trasformativa, ma non solo.

di Eugenio Vignali