di Corrado Mora
Un profondo senso delle relazioni, una intensa comprensione delle dinamiche del conflitto, un senso del processo di mediazione come modo per trovare soluzioni vere e stabili. La pratica di Gary Friedman ha sviluppato un approccio che fa apparire il titolo del libro che ha scritto con Jack Himmelstein come una perfetta descrizione generale: Challenging Conflict. Mediation Through Understanding (Sfidare il conflitto. Mediazione attraverso la comprensione) (American Bar Association, 2008). Se le parti non sono in grado di stare insieme nella stessa stanza, di parlarsi esprimendo reciprocamente necessità ed emozioni, non saranno in grado di condividere le decisioni necessarie per porre fine al loro conflitto. Un lavoro duro per il mediatore, che condurrà l’incontro delle parti come un timoniere in un mare profondo e molto agitato. L’approccio di Gary offre un’importante riflessione da tenere in considerazione quando si decide se mantenere le parti insieme o no, e come.
Gary J. FRIEDMAN è co-fondatore e direttore del Center for Mediation in Law a Mill Valley, California. Ha svolto attività legale dal 1970 al 1976, primariamente come mediatore di controversie commerciali e familiari nell’ambito dei Mediation Law Offices di Mill Valley. Dal 1979 è formatore in corsi di base, intermedi ed avanzati sulla mediazione e su questo approccio nella pratica legale, svolti in tutti gli Stati Uniti e, dal 1989, in Europa. Autore di numerose pubblicazioni sulla mediazione, tra le quali A Guide to Divorce Mediation, il professor Friedman ha insegnato negoziazione e mediazione presso svariate law school e nell’ambito della formazione legale continua in tutti gli Stati Uniti; tra le sedi dei suoi corsi sono recentemente compresi l’Harvard Law School Program on Negotiation e la World Intellectual Property Organization (WIPO) a Ginevra. E’ co-autore di un libro, recentemente pubblicato, intitolato Challenging Conflict: Mediation through Understanding.
Gary, qual è il significato di “comprensione” nel tuo approccio?
Quando mi riferisco alla “comprensione”, lo faccio nel contesto del conflitto. In genere, l’approccio delle persone al conflitto non include la comprensione. Se qualcuno è in conflitto con te, potrebbe ritenere che tu non comprendi il suo punto di vista e che non lo farai mai. Quindi, logicamente, egli ipotizza che ciò che è necessario per risolvere il conflitto sia il potere, il potere della coercizione. Proverà a manipolarti, a metterti pressione, a minacciarti, a fare qualunque cosa per piegarti al suo modo di pensare. Se questo può talvolta funzionare, ben più facilmente provocherà in te una risposta simile, cosa che ovviamente mantiene il conflitto in vita. Quando procediamo circolarmente in questa direzione, siamo coinvolti in quella che chiamiamo la “trappola del conflitto”; l’altro dice “Io ho ragione, tu hai torto”, e tu rispondi “Io ho ragione, tu hai torto”. Forse si raggiunge un compromesso, ma raramente una soluzione solida. Quindi, quando utilizzo la parola “comprensione”, lo faccio per segnalare che c’è un altro modo per gestire il conflitto. Questa comprensione non è credere di comprendere già l’altro, è un impegno a comprendere noi stessi, l’altro e la situazione in cui siamo coinvolti, sforzandoci di utilizzare tutto il potere della comprensione per portare il conflitto ad una vera soluzione. Al cuore della mediazione c’è la possibilità, per le persone, di usare il potere della comprensione per trovare soluzioni, non per rinunciare a qualcosa o pretenderlo o ignorarlo, ma per creare una profonda comprensione dell’intera situazione. Quando sento che vuoi comprendermi, e tu senti che io voglio comprenderti, abbiamo notevoli possibilità in più per guardare concretamente il problema e ricercare una soluzione che potrebbe veramente tenere in considerazione la comprensione che abbiamo raggiunto di noi stessi, dell’altro e di ciò che per noi è importante. L’”altro” potere della comprensione non è solo il comprendere ciò che l’altro dice, ma comprendere –sotto il conflitto- cosa sia realmente importante per noi, quali siano le cose che per noi sono veramente fondamentali e che ci hanno condotto al conflitto. Ho spesso osservato, nella mia esperienza, che quando le persone sono in conflitto tengono in considerazione ciò che per loro è importante, ma vengono poi coinvolte nella loro reazione nei confronti dell’altra persona. Se riuscissero ad aggrapparsi a ciò che per loro è importante, anziché reagire all’altra persona, potrebbero aiutare l’altro a fare lo stesso, liberandosi così dalla trappola del conflitto.
Nel promuovere la comprensione, lavori alla creazione di un ambiente sicuro e per permettere alle parti di passare da una lotta tra giusto e sbagliato alla coesistenza di prospettive differenti. Quali sono gli elementi chiave per raggiungere questi obiettivi?
Hai ragione a dire “ambiente sicuro”, poiché non è facile per le persone aprirsi alla comprensione dell’altro mentre sono in conflitto. Devono essere in un’atmosfera in cui sappiano che esiste un accordo che li porterà ad una differente gestione del conflitto, che li spronerà alla comprensione, che non li porterà a concedere o richiedere concessioni, e che farà loro osservare il conflitto da una prospettiva differente. Normalmente, le persone in conflitto pensano al Cosa, al contenuto del conflitto, come se fosse tutto, ma comprendere il Come del conflitto, le dinamiche tra le persone in termini di come parlarsi e ascoltarsi a vicenda nella gestione del conflitto, è essenziale nel movimento verso la risoluzione. Se non si ha la sensazione che l’ambiente in cui si è entrati è differente, più sicuro, rispetto a quello in cui si era finora, le persone non possono avere la volontà di spostarsi, di sganciarsi dalla guerra tra vincitore e vinto. Quindi, come si crea la sicurezza? Per prima cosa, è necessaria la presenza di un accordo. Le persone devono avere una comprensione del Come, devono discutere sulla questione “Possiamo avere un accordo su come lavorare insieme?”. Con la presenza di un mediatore, un soggetto neutrale, senza preferenze per l’una o l’altra parte, si possono creare le regole di base. L’accordo permette alle parti di raggiungere il cuore di ciò che per loro è importante, ciò che vive sotto il conflitto. Se le persone potessero approcciarsi al conflitto ad un livello più profondo, e questo spesso significa comprendere non solo ciò che l’altro sta pensando del conflitto, ma come sta sentendosi in relazione ad esso, potrebbero utilizzare la profondità di questa comprensione per individuare qualcosa che possa essere espresso nella conversazione e possa servire da àncora per loro, per portarli ad una soluzione. Questa è la sfida nella negoziazione e nella mediazione: trovare quest’ancora, un terreno comune, ed esplorare perché ciò ha valore per le parti. Poi, forse, esse possono raggiungere delle soluzioni che possano considerare come le migliori per entrambe.
Quali sono le difficoltà principali nel creare questo ambiente e questi accordi, e nell’educare le parti al cambiamento del loro approccio verso il conflitto?
Non è naturale per nessuno pensare in questo modo. Le sfide, quindi, sono molte: significa che dobbiamo rieducarci sul modo in cui pensiamo al conflitto. Noi tutti abbiamo modalità sviluppate nell’infanzia, quando abbiamo imparato a combattere o scappare o a paralizzarci quando siamo nell’intensità del conflitto. Queste modalità sono profonde e solide e, in realtà, funzionali nelle nostre famiglie di origine. Dobbiamo riconoscere l’esistenza di queste modalità in noi stessi o, se stiamo aiutando altre persone, dobbiamo assisterle a intravvederle, e a vedere come esse possano essere di intralcio nel compiere un vero cambiamento. Innanzitutto, dobbiamo riconoscerle e, successivamente, dobbiamo volere veramente un loro cambiamento. L’espressione è, qui, essenziale: le persone devono avere la volontà di parlarne, e spesso le persone hanno la modalità istintiva di non parlare proprio o di apparire d’accordo ma, col cuore, non esserlo, il che inevitabilmente porta a accordi veramente pessimi. Le sfide per ciascun individuo sono, quindi, avere una onesta volontà di parlarne, avere una vera comprensione delle proprie preoccupazioni e avere la volontà di tenere in considerazione l’altra persona non a proprie spese, ma come parte di una immagine più grande. Questi sono tutti aspetti differenti da considerare. Ci sono sempre diversi tipi di conflitto e mentre è difficile dire quale sia la sfida generale per tutte le situazioni, è comunque possibile notare quanto questi siano gli elementi che si presentano in modo ricorrente. Sicuramente molti conflitti sono relativi ai soldi: ciò che spesso dobbiamo fare con i soldi è riconoscere che sono simbolici e che non sono mai la fine di una conversazione, sono lo spazio attraverso il quale dobbiamo passare per trovare cosa ci sia sotto, eventualmente da considerare. Non è una operazione facile, è una grande sfida per molte persone.
Il tuo approccio ha un principio fondamentale: lavorare con le parti tenendole insieme. Resti, quindi, per l’intera mediazione nella stessa stanza con entrambe le parti. Questo è a volte molto impegnativo, poiché ti trovi ad affrontare molte dinamiche emotivamente intense. Come ti senti e come ti prepari quando ti approcci ad una mediazione?
Questa è una delle nostre idee centrali: far sì che le persone abbiano un potere decisionale condiviso. Ovviamente, ci sono una condivisione ed una comprensione del conflitto reali se le persone sono insieme, nella stessa stanza. Ha semplicemente senso: se devono prendere decisioni insieme, devono avere una possibilità di ascoltare e vedere veramente l’altra persona e altrettanto di poter mostrare all’altro come essi vedono le cose. Il modello tradizionale di pensiero relativamente a ciò è il metodo dei caucus (sessioni private, N.d.T.), in cui le persone sono in stanze separate ed il mediatore va avanti e indietro, lavorando al posto loro. Il problema con i caucus è che quando il mediatore va avanti e indietro, si prende più potere e responsabilità per il risultato delle stesse parti. Per questo sono eccitato dalla possibilità di ciò che può accadere quando due persone che sono in reale disaccordo giungono ad una forma di vera comprensione l’uno dell’altro. Ho sempre grandi speranze e mi sento sempre stimolato. Credo di non dover usare la mia esperienza, comprensione o qualsiasi tipo di saggezza io possa avere per cercare di decidere o influenzare la soluzione possibile per le parti. Non so quale sia la risposta ai loro problemi. So che voglio aiutarli. So che voglio usare tutto ciò che posso avere a mia disposizione per cercare di aiutarli a trovare la loro strada attraverso quella situazione. Ad un livello veramente profondo, credo veramente che spetti a loro risolvere il loro problema. Se posso aiutarli a creare le modalità per trovare la miglior soluzione possibile sento di aver svolto bene il mio compito. Non è sufficiente lavorare con le emozioni per essere graditi. Dobbiamo fare qualcosa di concreto; si tratta di rapportarci l’uno con l’altro con integrità.
Un approccio fondamentale che utilizzi consiste nella ricerca di interconnessioni tra le persone. Nel libro che hai scritto con Jack Himmelstein hai introdotto l’interconnessione, e come le persone possono relazionarsi tra loro, in un modo molto interessante e profondo. Hai evidenziato quanto sia importante la ricerca di interconnessioni durante una mediazione, poiché permette di creare basi comuni su cui lavorare. Come ricerchi queste interconnessioni?
E’ veramente una domanda interessante, perché la maggior parte di noi crede di essere autonoma ed indipendente. Sì, è importante imparare che siamo individui con le nostre idee ed il nostro senso del sé come parte del processo di crescita. La verità è che mentre siamo noi stessi, siamo interconnessi l’uno all’altro, dipendenti l’uno dall’altro per la nostra esistenza: condividiamo lo stesso pianeta, la stessa aria, l’acqua, il denaro, siamo legati l’uno alla vita dell’altro. Vediamo proprio ora cosa sta accadendo alle banche europee: ci ha influenzati negli Stati Uniti, e ha influenzato ciò che sta accadendo in Cina. Quando un reattore nucleare collassa in Giappone lo sentiamo ovunque. Il mondo sta diventando sempre più piccolo mentre le interdipendenze aumentano. La nostra sopravvivenza dipende dall’imparare a vivere insieme. Ma c’è anche un’altra realtà: ciò che va, prima o poi torna, quindi un giorno siamo in alto e pensiamo di non aver bisogno dell’altro, il giorno dopo siamo in basso e ne abbiamo la necessità. Negli affari, nelle comunità, nelle famiglie, nelle mediazioni. Ci sono molti livelli differenti in cui tali interconnessioni esistono, tanto materiali quanto spirituali. Penso che siamo molto meno separati di quanto pensiamo. Ci tocchiamo l’uno con l’altro. Siamo connessi.
Come aiuti le parti ad esplorare queste interconnessioni?
Sai, è divertente. Anche se le persone si incontrano in un’intersezione – ovvero se hanno un’unica connessione nella loro vita – c’è una qualche forma di relazione. Ieri sono stato quasi centrato da uno scooter. Stavo attraversando la strada, ero ad un incrocio e questo ragazzo mi ha evitato per un soffio, e quando mi è passato affianco ho urlato, ero veramente arrabbiato, impaurito, e lui ha fermato il suo scooter ed è tornato indietro, e mi ha guardato, ed ho potuto vedere che era dispiaciuto. Un secondo netto di differenza e tutto si sarebbe trasformato in un evento veramente serio. Per un momento lui ed io eravamo connessi. A volte, in mediazione, le persone dicono “non c’è relazione tra noi”, ma c’è. C’è stata, ed è il motivo per cui hanno dei problemi, e c’è in quel momento. A prescindere dalla possibilità di rivederci ancora nel futuro o no, abbiamo avuto una relazione, abbiamo una relazione, e ne potremmo avere una nel futuro. Possiamo trasportare questa realtà nella conversazione con le persone ed aiutarle a comprenderlo, riconoscere la verità di ciò, ed onorarla.
Come pensi che un mediatore possa prepararsi costantemente per il suo lavoro?
Questa è una domanda magnifica. La cosa più importante come mediatore è comprendere te stesso ed essere capace di accedere a ciò che sta avvenendo dentro di te quando sei in presenza di persone in conflitto, ed essere capace di usarlo per disegnare un percorso per gli altri. Ciò che accade, come mediatore, è che spesso ci sediamo insieme a persone e ci diciamo “Oh, quella persona ha ragione, l’altra ha torto, ci piace quella persona, non ci piace l’altra”, e poi diciamo “Oh, no, sono neutrale”. Io faccio attenzione ai sentimenti che ho dentro. La qualità centrale per un mediatore è essere capace di sospendere le reazioni interne che abbiamo per le persone, utilizzarle per comprendere la loro natura, comprendere noi stessi – questa è l’ultima parte della “comprensione” nel nostro modello di mediazione – ed essere in grado di girare tutto questo in modo da trovarci più vicini alle persone che non ci piacciono. Normalmente, quando abbiamo una brutta sensazione, qualcuno non ci piace, siamo arrabbiati o irritati con lui o lei, poi perdiamo la pazienza e lo o la vogliamo respingere. L’altra parte lo sente. Non possiamo pretendere che questa cosa non ci sia. Ma possiamo lavorare con questa sensazione per comprendere cos’ha generato la reazione negativa quando abbiamo incontrato l’altra persona. Sta in questo il girare la rabbia e le sensazioni negative in curiosità. Possiamo prendere le differenze che abbiamo con le altre persone, che spesso ci impauriscono, e dire a noi stessi: “Esploriamo queste differenze. Vediamo se possiamo comprendere l’altro, se possiamo entrambi coesistere”. Non si tratta di vedere chi dei due abbia il diritto di stare su questo pianeta, e chi no. Si tratta di divenire curiosi relativamente all’altro, comprenderlo veramente, comprendere chi è e perché fa quello che fa. Questa è la sfida veramente centrale per i mediatori. Stiamo scrivendo un libro su questo argomento, si chiama Inside Out: How to help others in conflict. Parla di come fare veramente questo cambiamento, perché è facile a dirsi, e veramente difficile a farsi.
* Corrado Mora lavora a Verona come mediatore civile e commerciale ed avvocato. E’ mediatore accreditato al CEDR di Londra ed MCIArb. E’ mediatore presso la Camera Arbitrale Nazionale ed Internazionale di Milano, le Camere di Commercio di Firenze e Verona e l’Organismo Veronese di Mediazione Forense. Cura i blog Spunti per la Mediazione e la Negoziazione (http://www.mediazionegoziazione.wordpress.com) e Caucus On Mediation (http://www.caucusonmediation.com)