di Corrado Mora
La sua passione per la mediazione è tangibile. Ed emerge insieme al suo profondo interesse per il linguaggio: una discussione iniziata a Londra sull’utilizzo del termine “caucus” nella mediazione (usato, ma non del tutto correttamente, dato il suo esatto significato) è continuata anche successivamente al suo invito a partecipare a “Caucus On Mediation”. Ora so che questo termine deriva dal linguaggio Algonquian del 18° secolo, che è lontano dall’idea di Facilit8 -la vera “facilitazione” che Amanda ha in mente, ma che può essere utilizzato appropriatamente nel titolo del mio blog (per un pelo…). Dalla nostra conversazione è emerso anche il suo interessante approccio alla creazione di rapporto con le parti ed alla preparazione: verranno svelati i segreti di Amanda sulle proprietà di stretching e sorriso, legate alla loro incidenza positiva sulla biologia del mediatore.
Amanda Bucklow è una mediatrice commerciale indipendente e a tempo pieno, vive a Londra e lavora a livello internazionale. In 17 anni di pratica ha mediato un’ampia gamma di controversie. E’ raccomandata da Legal 500 e da Chambers and Partners Guide to the Legal Profession, in cui “i clienti dicono che la Bucklow è “un soffio di aria fresca” nelle mediazioni, dato che adotta uno “stile conversazionale” e “usa il suo carisma” per aiutare le parti a raggiungere una soluzione. E’ lodata anche per il suo senso degli affari e gestisce un ampio numero di controversie relative a differenti settori dell’industria”.
Amanda è inoltre una formatrice stimata e, con Charles Middleton-Smith, conduce la formazione in materia di mediazione commerciale per il Chartered Institute of Arbitration a livello internazionale. Il suo blog è reperibile alla pagina http://blog.amandabucklow.co.uk; maggiori informazioni relative alla formazione alla pagina http://www.facilit8.com/training. E’ possibile seguirla su Twitter: @AmandaBucklow.
La comunicazione è un pilastro fondamentale nella mediazione, essendo tanto uno strumento nella creazione di rapporto con le parti quanto un obiettivo, nel corso dell’assistenza delle parti ad uno scambio costruttivo di informazioni, aspettative ed emozioni. Amanda, il tuo approccio alla comunicazione è molto efficace e si concentra anche sulla scelta di un linguaggio appropriato (tanto verbale quanto corporeo). Quali sono, secondo te, gli elementi importanti che il mediatore dovrebbe considerare nella comunicazione e nell’assistenza alla comunicazione?
Una delle abilità che distinguono i mediatori eccellenti da quelli efficaci è la competenza linguistica, qualunque sia tale linguaggio. La capacità di selezionare tono e stile linguistico appropriati è vitale nella costruzione del rapporto. Non intendo dire che si debbano sempre utilizzare parole complesse o inusuali, quanto piuttosto che ci si deve sintonizzare, attraverso un linguaggio appropriato, con le persone presenti nella stanza, e che si deve utilizzare il proprio in modo competente per poter trasmettere alcuni concetti ed aiutare i presenti ad esprimersi.
Culturalmente, noi tutti risuoniamo al linguaggio appropriato – tanto verbale che non verbale – che include certamente l’uso della metafora. Il controllo sul linguaggio e sul vocabolario ti consente una maggiore scelta relativamente al modo in cui relazionarsi alle persone e ti aiuta ad evitare di parlare attraverso cliché, cosa che può essere molto irritante e molto poco d’aiuto, poiché il cliché evoca immagini stereotipate. Quanto è irritante la frase “pensa fuori dagli schemi”? Bene, se non si pensava di essere in uno schema prima di sentirsela dire, da quel momento lo si farà!
Uno dei complimenti più gratificanti che ho ricevuto è “tu parli il mio linguaggio”. Questo è il motivo per cui attribuisco tanta importanza al tempo che trascorro, prima della mediazione, a parlare con le parti ed i loro avvocati. In realtà non parlo molto, quanto piuttosto mi pongo in ascolto non solo del contenuto, ma anche del tono e del linguaggio. Ciò mi consente una partenza di slancio il giorno della mediazione. Vedi, per me il linguaggio consiste tanto nel parlare quanto nell’ascoltare e nel rispondere appropriatamente. Ed in tutto ciò devi essere competente, se vuoi che ti sia permessa la costruzione di un rapporto.
Quali sono, secondo te, gli elementi fondamentali su cui concentrarsi nel corso di una mediazione?
Ci sono alcune domande che mi pongo regolarmente nel corso della mediazione: ho un rapporto sufficiente per fare/dire/chiedere/suggerire questa cosa? Stanno partecipando tutti (anche se sembrano tranquilli)? Sono imparziale nelle mie intenzioni? (Se comprendo bene le mie intenzioni, il mio comportamento, il mio linguaggio ed il linguaggio del mio corpo saranno di conseguenza appropriati). Noterai che due di queste domande riguardano ciò che sta accadendo a me ed una è relativa alla situazione delle parti e dei loro assistenti. Credo che sia questo il giusto equilibrio, perché senza un appropriato coinvolgimento delle persone presenti nella stanza, il processo di mediazione è semplicemente questo – un processo. Sarebbe come cercare di cuocere il pane senza accendere il forno. Tutti possono ricreare il processo; lo si può apprendere da un libro. Ma ciò che lo fa funzionare è un’atmosfera di comunicazione produttiva sulle necessità ed i bisogni delle parti che, tra l’altro, non sempre sono virtuosi! Ad esempio, può essere molto liberatorio e produttivo se una parte si sente in grado di dire all’altro che lo vorrebbe veder soffrire tanto quanto essa stessa ha sofferto. Perché non sarebbe giusto dirlo e sentirlo riconoscere?
Una comunicazione produttiva, come hai sottolineato, può anche essere emotivamente molto carica ed attraversare molte aree di elevato conflitto. Come ti prepari a questi passaggi tesi e come ti senti mentre aiuti le parti ad orientarsi in essi?
Mi preparo prima della mediazione assicurandomi di riposare bene. Faccio i miei ormai “famosi” esercizi di respirazione e stretching, così so di essere in una buona forma fisica per gestire la mia energia. Mi troverò a chiedere alle persone di “tener duro” anche quando saranno completamente stufe, esauste o annoiate, e mi pare utile fare in modo di essere “in gamba” per tutto il giorno. Trovo opportuno prendere brevi pause per pensare alle opzioni, come per fare una veloce passeggiata attorno all’isolato.
Mentalmente, sono preparata con informazioni di base, idee, domande ed una struttura per il procedimento – nessuna mediazione è uguale e bisogna fletterla affinché sia ritagliata sulle persone ed i problemi specifici. C’è molto poco che mi possa colpire emotivamente! So che qualunque sia l’informazione di cui io possa venire a conoscenza, qualunque sia la difficoltà, ciò che più è importante per chi è nella stanza è che io stia con i piedi per terra, salda.
Se ci fosse un accesso emotivo o una sessione difficile, so che tutti mi guarderebbero per vedere come reagisco. Ciò non significa non rispondere alla maleducazione o alla mancanza di rispetto, ma farlo senza shock o rabbia. Se il mio interlocutore si dovesse agitare, farei alcuni respiri profondi e allora quasi certamente riuscirei a restare seduta tranquillamente senza farmi condizionare, affinché chi parla abbia modo di ricomporsi.
Essere seduti con persone agitate o arrabbiate senza farsi condizionare, andare in loro soccorso o provare a calmarli è molto importante. Nella mediazione commerciale, le persone sono sorprese (se non colpite) da quanto fanno emergere in relazione ai loro sentimenti, e l’ultima cosa di cui hanno bisogno e che il tutto si trasformi in una sessione di terapia. Non faccio terapia. Ma sarò lieta, comunque, se l’esperienza si dovesse rivelare terapeutica.
Questa parola viene dal greco Therap. Era il nome di una categoria speciale di schiavi, scelti per le loro abilità interpersonali e la loro personalità per essere i confidenti di tutti i soggetti presenti in casa, compresi i padroni, i bambini e gli altri schiavi. Tutto ciò che veniva detto doveva rimanere assolutamente confidenziale e la sanzione per la violazione della riservatezza era la morte del Therap. Credo siano stati proprio loro i primi mediatori. Riesci ad immaginare cosa accadrebbe se avessimo tale “regolamento”? Personalmente, penso che la riservatezza sia così importante che se la violassi sarebbe senza dubbio la “morte” della mia carriera!
Quali che siano le emozioni espresse, è importante dimostrare di aver sentito la piena forza di quanto è stato detto, altrimenti rischi di non apparire coinvolto. Il che, generalmente, può far percepire un’incapacità di affrontare il processo. Successivamente, dimostro di aver compreso. Può avvenire con un grazie, con una domanda su come ciò che hanno rivelato abbia condizionato il loro modo di pensare, la loro azienda, la loro vita. Dipende da ciò di cui si sta parlando. Sul momento e per alcuni secondi ho assolutamente bisogno di riflettere sui pensieri che emergono nella mia testa. Mi assicuro di non essere tesa e che il linguaggio del mio corpo sia congruente con l’essere empatica, calma e forte.
Cosa provo? Mi sento privilegiata, in realtà, che le persone si sentano abbastanza al sicuro con me da rivelare le loro paure e i loro punti più vulnerabili.
Il tuo background è molto interessante e spiega parecchi aspetti delle abilità che hai sviluppato. Da dove hai approcciato la mediazione, e per quali motivi?
Mi ci hai fatto ripensare. Istintivamente, avrei raccontato la storia di come sono cresciuta in una casa in cui mio padre era tutto fatti e prove e mia madre era tutta persone e sentimenti, e di come, quando i miei genitori avevano una discussione, io cercassi di permettere loro di vedere le cose dal punto di vista l’uno dell’altra – grande allenamento per un mediatore. Amo negoziare e fare affari. E’ sempre stato così. Ad 8 anni ho venduto delle piazzole di parcheggio ai genitori dei miei amici per una performance improvvisata dei Sound of Music, che i miei amici ed io organizzammo nel giardino di uno di noi durante le vacanze estive. Mio padre fu veramente impressionato, specialmente perché ho insistito a far pagare il genitore che era il proprietario della villa in cui ci stavamo esibendo!
Mi sono poi resa conto che c’è ben più di questo. C’è qualcosa di profondamente appagante nell’ottenere ciò di cui si ha bisogno quando lo fanno anche gli altri. Si tratta di una sensazione molto più duratura di quella che si ha vincendo a spese dell’altro. Quando uso le mie competenze e la mia esperienza per aiutare gli altri ad ottenere ciò di cui hanno necessità, fornisco il miglior contributo possibile, imparo, ricevo apprezzamenti e mi guadagno da vivere.
Nella corso della mia prima occupazione con RTZ avevo la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto per la maggior parte del tempo. Ho cambiato poi alcuni lavori e ne ho infine trovato uno che era una tortura in termini di cultura aziendale. Il costo di continuare a lavorare bene era elevato per il mio benessere personale. I colleghi si attaccavano l’uno contro l’altro e non c’era senso di squadra, di obiettivi condivisi; ognuno agiva per se stesso e, come risultato, l’azienda ne ha risentito. Ci furono perdite di lavoro e di clienti, e dovetti costruire molto rapporto e molta fiducia per farli ritornare nell’ovile, per così dire. Lo fecero, ma senza la certezza che i miei sforzi non sarebbero stati sminuiti da uno scarso servizio clienti e dalla manipolazione ai fini di scopi “politici” personali.
Al termine di queste due esperienze potevo compiere una netta comparazione, e fu assolutamente chiara per me la necessità di avere molto più della prima situazione ed un minimo tollerabile della seconda. Ho così cercato una professione che mi potesse permettere di realizzare questo bisogno. La combinazione di una telefonata fortuita e la mia tendenza a porre domande aperte per ottenere la maggior quantità di informazioni possibile fecero sì che qualcuno desse alla mia ricerca un nome: mediatrice. E’ qualcosa che mi veniva naturale e spontaneo, da quando potessi ricordare. Da allora ho avuto l’onore di essere parte integrante dello sviluppo di ciò che, allora, era ancora uno status professionale a livello meno che embrionale; i futuri riconoscimenti della professione mi entusiasmano, tanto quanto la considerazione delle nostre competenze come essenziali per la crescita imprenditoriale e per la leadership. Elementi che, ora, ci servono in grande quantità, mentre facciamo di tutto per uscire dal disastro economico.
Beh, è bello vedere che la serendipity sia un amico comune (la mia esperienza ha a che fare con un adesivo attaccato sul vetro di un autobus su cui sono salito quasi per caso…). Invece, sono certo che non sia pura casualità, ma reale curiosità e apertura ciò che ti spinge a studiare come funzionano il cervello e la biologia dell’essere umano. Cosa trattieni da questi approfondimenti e come lo trasporti nella tua pratica?
Sono molto curiosa, persistente ed amo le persone – beh, la maggior parte di esse! Per me il comportamento umano è infinitamente affascinante. La motivazione, l’etica, la legge sono tutte intimamente connesse con la cultura ed il comportamento. La psicologia dietro alla presa di decisioni ed alla risoluzione delle controversie sono da sempre state nel mio radar, addirittura da prima di iniziare a formarmi come mediatrice, e mi è sembrato ovvio che divenisse parte dell’arte e della scienza della mediazione. Di fatto, è stato menzionato in uno degli elenchi legali in cui compaio quanto la psicologia abbia giocato un ruolo importante nella mia pratica. Al tempo, non ero sicura che sarebbe stato positivo essere conosciuta per tale aspetto. Allora veniva considerato alla stregua della medicina alternativa e della meditazione, che erano un po’ troppo “woo woo” per la gente! E’ strano considerare come la meditazione, la mindfulness, la psicologia siano recentemente divenute degli argomenti così caldi, e quasi tutti ne riconoscono ora la rilevanza.
Credo che si debba essere attenti, in ogni caso, specialmente circa il collegamento tra neuroscienze e risoluzione dei conflitti. Alcune cose che vengono insegnate e scritte sono basate ancora su prove molto scarse. Alcune ipotesi vengono entusiasticamente isolate e rese “verità incontestabili”, quindi tendo ad assicurarmi che qualunque cosa io possa includere, soprattutto quando svolgo il mio ruolo di docente, sia basato su una ricerca valida. Se si tratta di un nuovo approccio, è per me allora importante tenere in mente l’idea che potrebbe ancora non trattarsi dell’intera storia e che sia necessario controllare le ipotesi, senza dare niente per scontato. Si tratta di un buon mantra in generale per la mediazione: non conosci mai l’intera storia, non ritenere mai di possedere la verità.
Nella mia pratica, queste conoscenze supportano il modo in cui aiuto le persone ad entrare correttamente nella negoziazione. Non le rendo evidenti, anche se pare che le parti se ne accorgano! Nella formazione, mi aiuta ad individuare nuove modalità per trasmettere le competenze in un modo costantemente in evoluzione, cosa che spero sia sempre utile e raggiunga standard estremamente alti nella pratica dei nuovi mediatori che si baseranno su ciò che hanno imparato per tutto il tempo che decideranno di continuare a praticare.
Infine, in che modo un mediatore dovrebbe continuamente sviluppare le sue abilità?
Più sai su di te, sui tuoi valori, sui tuoi “tasti caldi”, su come le tue esperienze e conoscenze influiscano sul modo in cui vedi il mondo, tanto meglio sei in grado di dispiegare le tue abilità di mediatore al momento giusto e nel modo giusto, a beneficio del raggiungimento di un accordo – se questo è ciò che le parti vogliono. Dobbiamo accettare il fatto che a volte esse non vogliono, alla fine, un accordo.
Instillare una pratica di riflessione è importante. Scrivere delle annotazioni al termine di ogni mediazione sulla tua gestione del procedimento, delle competenze personali e del supporto nella negoziazione. Fare il “bollino blu” con un collega fidato o, ancora meglio, trovare un supervisore professionale e predisporre appropriate sessioni di revisione. La struttura che deriva da qualcuno che sa come fare supervisione (ad esempio, un coach professionale) fa la differenza. Mi piace la revisione tra pari e nel 2006 ho sviluppato dalla mia ricerca una struttura ed un processo, ma più recentemente sono arrivata a concludere che sia necessaria una formazione specifica per farlo bene e che la supervisione sia più efficace ed appropriata.
E’ importante leggere molto, soprattutto sulle pratiche imprenditoriali e sugli sviluppi della pratica legale, così come è importante capire cosa può influenzare le persone con cui lavori. E’ il loro contesto, non il tuo, ad essere il più importante.
Bisogna essere avventurosi nel seguire dei corsi. I mediatori possono avere difficoltà ad individuare appropriati corsi per la formazione professionale continua, e molti si aspettano che tutto sia auto-finanziato. Ricercano un investimento nella formazione su di una scala di rendimento molto corta. Questo lo posso comprendere ma, al contempo, se si sceglie attentamente è molto difficile non ottenere valore dai soldi spesi. Anche se potrebbe non portare ad avere più mediazioni. In ogni caso, noi viviamo o moriamo attraverso raccomandazioni e reputazione, pertanto ciò che fai è la chiave ed avere nuove e fresche idee è essenziale. Io tendo a seguire un corso importante ogni anno, se posso trovare qualcosa di eccellente, ma quest’anno ne ho fatti due. E’ semplicemente andata così. Uno è stato eccellente, uno mediocre ed ho imparato tra l’altro qualcosa su come creare i corsi di formazione, il che è molto utile.
E’ utile tenere aperto il contatto con potenziali clienti e individuare quali siano le loro preoccupazioni maggiori, in modo da poter ritagliare la tua offerta e dimostrare la tua utilità. Se mai ti trovassi a pensare di poterti accontentare della tua esperienza e delle tue conoscenze assodate, allora ti servirebbe di certo una rinfrescata! E’ facile far tutto questo, se lo ami.