di Nicola Giudice*
Tra gli innumerevoli pregi di questo blog non si può annoverare, al momento, la puntualità.
Ce ne scusiamo e per il 2012 promettiamo maggiore impegno e dedizione.
Ci troviamo a gennaio ormai avviato a discutere di una notizia ormai datata: il Ministero della Giustizia ha, infatti, pubblicato l’attesa circolare interpretativa del DM 145, che tanto aveva fatto discutere in autunno. Il testo chiarisce molti punti dubbi in tema di tirocinio dei mediatori, di assegnazione dei casi e di tariffe.
Vogliamo soffermarci su un punto apparentemente di minore rilievo e che, all’opposto, ci pare di importanza vitale, se visto in prospettiva.
Il riferimento è alla fissazione di standard minimi di qualità, il cui raggiungimento dovrebbe essere “requisito necessario per potere validamente svolgere un servizio di mediazione nonché di formazione che sia improntato al presupposto della professionalità, efficienza ed idoneità dei medesimi“.
Sarà il Ministero a dare indicazioni su quali saranno effettivamente “i livelli minimi di qualità esigibili“.
La sfida è ambiziosa e… duplice. Da un lato ci si pone l’obiettivo di dare degli standard qualitativi ad un mondo dove il rapido sorgere in brevissimo tempo di organismi ed enti di formazione fa supporre un notevole grado di improvvisazione.
A questa complessità, però, bisogna aggiungerne un’altra, ancora più ricca di insidie. Stabilire cosa significhi “qualità” in tema di mediazione non è facile. La stessa idea di mediazione è sfuggente, tanto da far sembrare più che giustificato il continuo proliferare di modelli di mediazione, scuole di pensiero e orientamenti tra i più vari. Basta leggere quanto raccontano mediatori esperti come quelli intervistati in questo blog, per intuire la complessità di un mondo caleidoscopico e a tratti indecifrabile, dove un approccio per alcuni corretto, diventa per altri errato e fuorviante.
Se non esiste un modo condiviso di vedere le cose, come si può articolare una scala di valori su cui costruire un’idea di qualità?
Si potrebbero prendere in esame alcuni parametri oggettivi come, ad esempio, la durata di un procedimento di mediazione. Si potrebbe pensare, d’istinto, che un procedimento di mediazione della durata di 60 giorni sia stato condotto in modo più efficiente di uno che si svolga nel doppio del tempo. Ma è veramente così? Può darsi che nel primo caso le parti abbiano raggiunto un accordo in modo eccessivamente frettoloso, magari indebitamente pressate dal mediatore. All’opposto, un procedimento più lungo potrebbe essere segno di intese più meditate e consapevoli, con maggiore garanzia di adempimento. La durata, quindi, non è da sola un indice sufficiente.
Può forse esserlo la percentuale di accordi raggiunti? L’esperienza insegna che il buon mediatore non è colui che raggiunge l’accordo “ad ogni costo”. All’opposto, sa fermarsi quando le circostanze lo richiedono, lasciando alle parti il tempo di riflettere e magari definire un accordo successivamente all’incontro di mediazione vero e proprio (ma pur sempre anche grazie al mediatore). Come detto in altra sede, non tutti i “mancati accordi” rappresentano un dato necessariamente negativo (e non sempre un accordo deve essere considerato a tutti gli effetti come un successo).
Cosa dire della gestione dei tempi? La convocazione di un incontro di mediazione in 15 giorni (il tempo formalmente indicato dal legislatore) dovrebbe essere un requisito minimo indiscutibile. Se così fosse, dovremmo considerare come eccellente l’organismo che riuscisse a rispettare questa scedenza. Anche in questo caso, l’esperienza insegna come la maggior parte dei protagonisti di una controversia (sia essi parti istanti o invitate) non sia assolutamente in grado di poter garantire la partecipazione ad un incontro fissato in tempi così rapidi. In questo caso la celerità rappresenterebbe un ostacolo per entrambe le parti. A chi gioverebbe, allora, tanta dimostrazione di efficienza?
Gli esempi potrebbero continuare.
Cosa fare, allora? Bene ha fatto il Ministero ad affrontare questa doppia sfida, che è necessaria per il bene della mediazione, ma il difficile inizia adesso.
Qualche primo suggerimento potrebbe venire proprio dai lettori di questo blog.
*Nicola Giudice è Responsabile del Servizio di conciliazione della Camera Arbitrale di Milano, organismo di mediazione della Camera di commercio di Milano