Nonostante il D. Lgs. 28/2010 sia entrato in vigore da poco più di un mese e venga tuttora applicato “a macchia di leopardo” – stante la presenza non uniforme sul territorio di organismi di conciliazione / mediazione iscritti all’apposito Registro ex DM 222/04 e quindi abilitati alla gestione delle procedure ai sensi della recente normativa – diversi sono gli argomenti di discussione e gli spunti di riflessione emersi, anche in relazione ai possibili sviluppi futuri, nell’attesa che, da un lato vengano prossimamente pubblicati i decreti di attuazione e, dall’altro, si entri a pieno regime con la nuova disciplina, a seguito dell’entrata in vigore (a marzo 2011) del tentativo obbligatorio di mediazione di cui all’art. 5 comma 1.
Sebbene all’indomani dell’entrata in vigore della novella, la presenza non uniforme sul territorio di organismi in grado di dare piena applicazione alla nuova disciplina abbia destato qualche preoccupazione tra gli addetti ai lavori, in realtà il primo effetto palpabile del d.lgs. 28/2010 è stato quello di “far parlare di sé” e della mediazione. Infatti, nell’imminenza dell’entrata in vigore della norma, così come nel periodo immediatamente successivo, si è registrata una crescente curiosità, nei confronti della mediazione, procedura fino a pochi anni fa quasi ignorata dai più. Con maggiore o minore consapevolezza circa le caratteristiche della stessa, di mediazione si è iniziato a parlare sempre più diffusamente, soprattutto tra i professionisti, che, oltre a manifestare interesse per le possibili prospettive correlate alla figura professionale del mediatore, hanno iniziato a vagliare le potenzialità della mediazione nella gestione del contenzioso, sia in termini di efficacia della soluzione, sia con riferimento alla maggiore snellezza e rapidità del procedimento sia, ancora, con riguardo al soddisfacimento degli interessi delle parti. Potenzialità, queste, che già alcuni professionisti, in particolare quelli che avevano avuto esperienza di procedure di mediazione (perché mediatori o parti in una mediazione) avevano iniziato ad intuire già negli anni precedenti. Lo stimolo alla diffusione della mediazione negli ambienti professionali si è però avuto non solo a seguito della pubblicazione della novella, ma anche per via delle comunicazioni istituzionali da parte degli Ordini professionali e, ovviamente, anche per via dell’introduzione del tentativo obbligatorio di mediazione nelle materie di cui all’art. 5 comma 1, nonostante sul territorio nazionale si registrino delle sacche di resistenza nei confronti della mediazione.
Per quanto riguarda invece le criticità correlate alla non uniforme presenza sul territorio di organismi abilitati a dare piena applicazione alla novella legislativa, si è osservato che taluni tra operatori professionali e cittadini hanno ciononostante mantenuto un atteggiamento positivo nei confronti della mediazione, nonostante la consapevolezza che, nei casi di specie, non potessero prodursi gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla recente disciplina. Tale atteggiamento può spiegarsi, per quanto attiene all’interruzione della prescrizione, al fatto che, in dette ipotesi, la procedura di mediazione è stata (correttamente) avviata nelle prime fasi del confronto tra le parti, a seguito del fallimento o dell’impossibilità di una trattativa diretta, quando cioè i termini di prescrizione erano lungi dall’esaurirsi e le relazioni tra le parti non ancora compromesse al punto da escludere qualsivoglia tentativo di dialogo. A questo proposito va però ricordato che queste considerazioni non possono valere per alcuni casi particolari, ad esempio quando si tratti dell’impugnazione di delibere assembleari, in materia condominiale. Per quanto attiene invece al valore di titolo esecutivo che la nuova disciplina conferisce all’accordo di mediazione, più di un operatore ha ritenuto la sua mancanza superabile o tramite la proposizione di decreto ingiuntivo o tramite il recepimento dell’accordo di mediazione in un atto pubblico. L’esperienza consente di aggiungere che il valore di titolo esecutivo spesso non sarebbe necessario: infatti, ove le parti, nell’esercizio della propria piena volontà, abbiano sottoscritto un accordo di mediazione, che soddisfa i reciproci interessi, lo adempiono spontaneamente. Ovviamente ciò accade nella misura in cui l’accordo sia voluto pienamente dalle parti e non imposto o proposto alle stesse, senza tener conto o comunque discostandosi, anche parzialmente, dalla loro volontà.
Quest’ultima osservazione induce una riflessione sulla proposta del mediatore e sui suoi possibili effetti: ci si chiede cioè se questa ipotesi, già introdotta nella disciplina della conciliazione societaria e tuttora sperimentata in rare ipotesi, si dimostrerà di successo. Se, in linea di principio, la proposta del mediatore potrebbe essere utile a superare situazioni di stallo quando siano le stesse parti, dopo una lunga ed esauriente negoziazione, ad invocare concordemente l’intervento propositivo del terzo, non va dimenticato che un intervento prematuro o addirittura contrario alla volontà di anche una sola delle parti, rappresenterebbe uno snaturamento della stessa mediazione e potrebbe facilmente compromettere l’esito e l’adempimento dell’accordo di mediazione, proprio perché non piena espressione della volontà dei soggetti coinvolti nella controversia. Forzatura che appare ancora più evidente se si considera che la novella legislativa fa discendere dal rifiuto della proposta formulata dal mediatore conseguenze negative, in termini di spese processuali nell’eventuale giudizio successivo. A tale considerazione va aggiunto che, sebbene il decreto legislativo preveda in capo al conciliatore la facoltà di formulare una proposta, questa – che dovrebbe comunque arrivare dopo un’adeguata analisi degli interessi delle parti ed un’esauriente esplorazione delle possibili ipotesi negoziali – potrebbe tuttavia destare nello stesso mediatore qualche preoccupazione circa i possibili profili di responsabilità ed il rispetto delle norme etiche.
Se, quindi, la mediazione rappresenta una grande opportunità per la risoluzione delle controversie, tanto da essere accolta con plauso da alcuni legali che riconoscono la maggiore efficacia di questa procedura rispetto al giudizio ordinario, soprattutto con riferimento alla risoluzione delle controversie nelle quali l’esito si presenta incerto e gli interessi coinvolti sono tali da non poter essere risolti semplicemente con la mera applicazione del diritto, non va dimenticato che la stessa non è sempre e comunque adeguata per la risoluzione di qualunque controversia, ben potendovi essere casi nei quali il contenzioso può essere più adeguatamente gestito in altre sedi. Va però ricordato che la scelta tra la mediazione ed altre procedure non sarà più possibile in alcune materie (condominio, diritti reali, successioni ereditarie, contratti bancari ed assicurativi…) quando, a marzo 2011 entrerà in vigore il tentativo obbligatorio di mediazione di cui all’art. 5 comma 1. Se è vero che qualunque forma di obbligatorietà può rappresentare uno snaturamento della mediazione, per sua natura volontaria, nell’esperienza concreta si è osservato che, al di là di forme di obbligatorietà di discutibile efficacia, ad esempio in materia di lavoro, in altri casi l’introduzione del tentativo obbligatorio di mediazione si è rivelato positivo, come accaduto per le controversie telefoniche, ed ha altresì contribuito a diffondere la mediazione tra operatori professionali, imprese e cittadini. In prospettiva futura si aggiunge però una criticità, che potrebbe rischiare di compromettere l’efficacia e la qualità della mediazione: i dodici mesi di vacatio legis potrebbero rivelarsi non sufficienti affinché gli Organismi di mediazione si dotino di risorse umane e spazi necessari a far fronte al volume di attività che si determinerà con l’entrata in vigore dell’obbligatorietà. Soltanto con adeguate risorse la mediazione potrà finalmente decollare in maniera adeguata, senza diminuire o compromettere gli standard qualitativi raggiunti e perseguiti in questi anni. Un aiuto in questo senso potrebbe venire e dall’informatizzazione delle fasi prettamente “gestionali”, quali ad esempio la presentazione della domanda o la trasmissione delle comunicazioni alle parti, ma ciò non sarà comunque sufficiente in assenza di risorse adeguate.
Nonostante le difficoltà evidenziate, tra gli operatori della mediazione, organismi e mediatori, permane un sostanziale ottimismo, ma soprattutto l’impegno a mantenere gli standard qualitativi e preservare la natura della mediazione, così come sperimentata in concreto negli anni precedenti il 2010 e consacrata nella Direttiva 2008/52/CE, che il d. lgs. 28/2010 si propone di attuare.
Dott.ssa Maria Elena De Bonis, conciliatore del Servizio di Conciliazione della Camera Arbitrale di Milano