Un’esperienza di conciliazione delegata

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Pensa alle pratiche dello studio.

Pensa a quelle che costituiscono cause pendenti, in cui hai già depositato le memorie istruttorie e sei in attesa della decisione del giudice in merito.

Valuta se tra di esse ne porteresti taluna in mediazione.

Leggi un’esperienza di conciliazione delegata e fai di nuovo la tua valutazione:

il Servizio di Conciliazione é a tua disposizione!

 dell’Avv. Silvia Pinto, conciliatrice del Servizio di Conciliazione della Camera Arbitrale di Milano

La vicenda giunta alla mia attenzione riguarda due imprese italiane, legate da due contratti di distribuzione, stipulati intorno al 2004, risolti due anni dopo e oggetto di controversia giudiziale, pendente dal 2007.

Nel 2009, cioè circa due anni dopo la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, le parti attendevano gli esiti delle rispettive istanze istruttorie.

Il giudice, all’atto di concedere i termini per il deposito delle memorie richieste ai sensi dell’art. 183 c.p.c., aveva peraltro invitato le parti a considerare le ipotesi transattive della controversia prospettando, espressamente nel verbale, “la possibilità di avvalersi di un organo di mediazione stragiudiziale.”

E’ così che una delle parti deposita la domanda di avvio del procedimento di conciliazione presso la Camera Arbitrale Nazionale e Internazionale di Milano e dopo solo un mese dall’accettazione dell’altra, si tiene l’incontro di conciliazione.

Le parti si presentano con i rispettivi avvocati e, ascoltato il conciliatore sui connotati del procedimento e sul ruolo che egli svolge, dichiarano che: a) non hanno tempo da perdere, b) sono venuti solo perché consigliati in tal senso dai propri avvocati, c) non hanno niente da dire, tanto meno da conciliare e preferiscono lasciar parlare i propri difensori i quali, ringraziando per la fiducia dei clienti, confermano che: a) non hanno tempo da perdere, visto che hanno già vagliato delle ipotesi transattive ed é emerso che le rispettive posizioni sono troppo distanti e inconciliabili, b) hanno presentato la domanda solo in virtù del consiglio giudiziale, cui é sembrato prudente aderire, c) si richiamano agli atti del giudizio per le proprie posizioni.

La vicenda giudiziale é complessa, gli aspetti giuridici, sostanziali e processuali sono svariati. I documenti sono molti e anche in diverse lingue.

La conciliazione ha avuto esito positivo. Nell’arco di due incontri e dunque di pochi giorni, le parti hanno definito la vicenda, abbandonando la causa pendente.

Come conciliatore e anche come avvocato mi soffermo a ragionare su come sia stato possibile arrivare ad un risultato così soddisfacente per tutti, nonostante le premesse, verrebbe da dire, ma non é propriamente così.

Il vero punto di forza della conciliazione, infatti, mi sembra che risieda proprio nella sua imprevedibilità e nell’impossibilità di ridurla a schemi.

Al tavolo della conciliazione quello che conta é la comunicazione nella relazione: tra la parte e il conciliatore, tra il consulente e il cliente, tra i consulenti e così via; con i documenti e senza, con le prove o no, con i fatti pacifici o contestati.

Quello che conta é che siamo tutte persone e la realtà di ognuna contribuisce alla formazione di quella dell’altra.

Il silenzio iniziale, in apparenza poco rassicurante, mi ha comunque permesso di entrare in relazione con le persone. La loro presenza al tavolo per ragioni, a loro dire, non concilianti era già una relazione.

E qui entra in gioco l’altro aspetto dirompente della conciliazione.

Il conciliatore é lì per ascoltare anche il silenzio, é lì per comprendere anche ciò che non conosce, che culturalmente non gli appartiene, é li per immedesimarsi nell’altro e per fare sentire all’altro l’interesse a capire e a partecipare. Quando questo avviene, anche il silenzio e il no diventano eloquenti e possono esprimere una motivazione che può aprire la strada della conciliazione. Le questioni dedotte in giudizio si arricchiscono della carica emotiva che, esprimendosi, colora in termini personali la fattispecie, così la parte può accostarsi al problema in un’ottica di relazione e non di rottura, in una sinergia di interessi e non solo di posizioni. La relazione consente la visione completa del problema, che viene percepito come comune. Si é seduti intorno al tavolo per risolvere il medesimo problema.

L’uno non ha convinto l’altro. L’uno non ha fatto concessioni forzate o calcolate in meri termini economici all’altro. Semplicemente l’uno é stato portato a capire l’altro prima di giudicarlo, a sentire come priorità quella di proporre soluzioni alternative al conflitto, rispetto all’avere ragione o vincere nel conflitto.

Ci si é sentiti capiti, si é capito l’altro e ci si é visti al di fuori del problema e oltre al problema stesso. Così sono arrivate le idee che i professionisti hanno imbastito in accordo, con tutte le cautele giuridiche e tecniche del caso, mentre le parti parlavano degli interessi di lavoro e si lasciavano andare anche a battute scherzose. Le parti si contestavano reciproci inadempimenti e reclamavano entrambe cospicue somme a titolo di risarcimento del danno. Durante il procedimento di conciliazione esse, con il valido supporto dei rispettivi avvocati, hanno focalizzato che erano accomunate dall’interesse di definire i rapporti intercorsi, che entrambe rispettavano ed apprezzavano le reciproche professionalità; hanno chiarito che l’una non aveva intenti lucrativi in danno dell’altra, ma si sentiva lesa nella sua reputazione commerciale e così l’altra ha riconosciuto gli strumenti per tutelare questo aspetto. L’accordo ha riguardato anche aspetti che esulavano dai temi del giudizio e le parti hanno spontaneamente indicato  la clausola di conciliazione, per cui si avvarranno nuovamente del servizio, laddove sorgano delle difficoltà.

Il procedimento si é sviluppato in una prima giornata, cui sono seguiti dei contatti telefonici del conciliatore con i singoli professionisti e, separatamente, con le parti e in una seconda giornata conclusiva, in cui é stato trovato e scritto l’accordo.

La ricchezza del procedimento di conciliazione é rappresentata dalla sua flessibilità. Il conciliatore può tenere incontri congiunti e separati con ciascuna delle persone presenti al tavolo, può immedesimarsi in ognuna per comprendere le ragioni, gli interessi e le motivazioni che la spingono a tenere una certa condotta, può comprendere come questo possa incidere sulla percezione dell’altro e può così far circolare i molti contenuti che le parti offrono.

Questo genera nelle persone la fiducia nella possibilità di trovare una soluzione. Quando si riapre la relazione, é più probabile trovare la soluzione del problema. Quando la soluzione al problema proviene, in modo autodeterminato, dagli stessi soggetti che lo vivono, il grado di soddisfazione é molto elevato.

E la soddisfazione é anche dell’avvocato che tocca con mano l’efficienza delle sue competenze. La capacità di inquadrare una vicenda in termini giuridici é una risorsa che talvolta può risultare svilita dall’andamento processuale, perché le regole del processo, prima fra tutte quella di sussumere le reali fattispecie sotto quella astratta e generale, talvolta impediscono e anche nella più brillante dialettica processuale, di dare piena contezza della realtà vissuta dal cliente.

In conciliazione casi uguali possono avere soluzioni diverse e non per diversi orientamenti giurisprudenziali. Questa é la distanza concreta dal processo, che é possibile perché sono le parti che mantengono il potere di giudicare che cosa sia giusto per loro e non lo affidano ad un terzo che, per decidere, deve ancorarsi a profili codificati e oggettivi.

A me e parlo in veste di avvocato, questo pare il valore precipuo del servizio di conciliazione per il cliente e per il professionista.

I tempi di un procedimento di conciliazione sono così brevi rispetto al ricorso alla giurisdizione che non ci sono rischi di essere incalzati per la perdita di tempo. Il conciliatore é neutrale, indipendente dalle parti ed imparziale e non deve decidere, mentre é tenuto alla riservatezza e questi connotati sono esiziali perché il cliente possa fidarsi del professionista che lo porta in conciliazione e, a sua volta, il professionista può trarre aiuto dall’intervento del conciliatore, per portare la parte ad avere coscienza di aspetti della vicenda che, talvolta, il professionista non può, nella sua attività di consulenza, far passare.

L’avvocato può preparare la parte al procedimento di conciliazione spiegandole che, soprattutto in una conciliazione delegata, ci sarà da riprendere in mano quei medesimi problemi di cui il cliente si é in qualche misura disfatto, proprio perché oramai é in causa.

L’avvocato dovrà preparare se stesso e la parte ad affrontare un percorso che in taluni momenti può sembrare lontano da quella concretezza che con i clienti, i giudici ed i colleghi é comunemente richiesta. In questo senso anche l’avvocato si mette in gioco, ma a questo siamo avvezzi per formazione, perché in una causa una volta si patrocina la posizione del cliente produttore ed in un’altra quella del distributore.

Così come la dialettica e la retorica che sono lo spirito delle argomentazioni dell’avvocato possono essere valorizzate in questo procedimento, senza essere attenuate dai tempi del processo. Insomma si ritrovano quella immediatezza, concentrazione e oralità di Chiovendiana memoria, senza essere in un processo, ma in un procedimento di conciliazione.

Del resto anche lo scopo della dialettica e della retorica può essere quello di “cercare l’accordo nei contrasti, non mediante il compromesso, dove ciascuna parte rinuncia a qualcosa, ma mediante l’opposizione attiva delle verità, di modo che il loro scontro generi un tertium quid o un tertium gaudens” (cfr. Adelino Catani in Botta e risposta, ed. Il Mulino).

L’avvocato che offre la sua assistenza al cliente in conciliazione non é un mero negoziatore, né un controllore, né un portavoce é, insieme alla parte, la ricchezza della conciliazione. Ed il cliente lo sa e ogni persona sa quale sia il valore reale di questa prestazione.

I tempi così brevi del procedimento permettono di non considerare il tentativo di conciliazione come una perdita, semmai può essere prospettato come un utile investimento per il cliente.

E i guadagni dell’avvocato?

Mi sembrano garantiti dalle tariffe forensi per le prestazioni in ambito stragiudiziale, alle voci destinate alle conferenze di trattazione e alla redazione dei contratti.

L’esperienza, da cui hanno preso spunto queste considerazioni, mi conferma nell’auspicio che i colleghi sapranno contribuire alla diffusione dello strumento della conciliazione, sia inserendo la clausola di conciliazione nei contratti, sia suggerendola nella fase iniziale di inquadramento del problema, sia prospettandola nei tempi morti delle cause già pendenti.

Spero con questo intervento di aver contribuito a chiarire che non si tratta della conciliazione degli Uffici Provinciali del Lavoro, di una mera transazione, né di una formalità prima di ricorrere alla giurisdizione.

Può essere una risorsa per il professionista e per i suoi clienti.

Avv. Silvia Pinto