Processi partecipativi: tra dibattito pubblico e mediazione ambientale

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di Nicolò Cermenati

Da tempo si è discusso in Italia sull’opportunità di introdurre una normativa che riformulasse la disciplina relativa alle realizzazioni di opere di natura pubblica, prevedendo una forma di partecipazione attiva di tutti i potenziali interessati. Processi di questo tipo sono definiti partecipativi o decisionali inclusivi e prevedono il coinvolgimento attivo di enti, soggetti privati, associazioni o cittadini nelle scelte compiute dalla pubblica amministrazione.
Tali istanze sono state raccolte nella recentissima modifica dell’art. 22 comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici di cui al D.Lgs 50/2016, attraverso la previsione dell’istituto del Dibattito Pubblico (DPCM 76/2018).
Secondo la nuova normativa, il dibattito pubblico è un processo di informazione, partecipazione e confronto pubblico sull’opportunità, sulle soluzioni progettuali di opere, sui progetti o interventi i cui parametri di rifermento sono stati specificamente individuati all’interno dell’Allegato n. 1 del sopra citato Decreto Legislativo.
Tra quelli indicati, meritano una particolare menzione i progetti relativi a: autostrade e strade extraurbane principali, tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza, aeroporti, porti marittimi commerciali, infrastrutture ad uso sociale, culturale, sportivo, scientifico o turistico e, dulcis in fundo, impianti, insediamenti industriali e infrastrutture energetiche. Quest’ultime sono state re-introdotte solo dopo un travagliato percorso di inclusione, esclusione e nuovo inserimento.
Cercando di riassumere, con grande approssimazione, le caratteristiche principali del Dibattito Pubblico possiamo dire che esso:
– punta a suscitare una discussione sull’opportunità di un progetto o di una data linea politica per una questione di natura urbanistico/ambientale, ponendo tutti i partecipanti in una posizione di sostanziale uguaglianza nei confronti delle autorità promotrici. Questo aspetto risulta di fondamentale importanza in quanto le alternative al progetto risultano ancora aperte e vi è un discreto spazio di discussione e ridefinizione;
-la partecipazione è aperta a chiunque desideri o sia interessato al dialogo e non è previsto alcun tipo di selezione da parte dell’autorità pubblica o di quella proponente;
– ha poche ma essenziali regole: la trasparenza delle informazioni, l’esaustività delle questioni trattate, il pluralismo delle risposte fornite, la sostanziale equivalenza dei partecipanti e l’uso dell’argomentazione dei propri interventi. Queste regole consentono la necessaria chiarezza durante tutto lo svolgimento del confronto e sono imprescindibili per ottenere la fiducia dei partecipanti, nonché per la buona riuscita del Dibattito stesso. Non è un caso se su di esse sia stata prevista una figura di garanzia e vigilanza svolta da un soggetto terzo;
– è gestito e guidato, per l’appunto, da un soggetto terzo, la Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico (CNDP d’ora in avanti), che garantisce la partecipazione del pubblico e che non fornisce alcun parere sul progetto. La sua funzione si ritaglia all’interno delle attività di coordinamento dei lavori, di facilitazione del dialogo tra gli intervenuti, di vigilanza sulla corretta applicazione delle regole, di garanzia del flusso di informazioni e di redazione di una relazione finale sulle risultanze del dibattito.

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– Favorisce nell’autorità proponente l’assunzione di una decisione consapevole, incoraggiando o scoraggiando la realizzazione dell’opera, con ripercussioni sulla gestione successiva del processo. Sarà, infatti, più semplice valutare le responsabilità e ripercorrere le motivazioni che hanno portato all’adozione di una determinata scelta in relazione all’opera realizzata.
Tracciate le linee essenziali dell’istituto, potrebbe essere lecito domandarsi a cosa possa servire avviare un dibattito pubblico.
Come sopra accennato, esso rappresenta lo strumento partecipativo per eccellenza poiché ha l’innegabile pregio di favorire la partecipazione di tutti i portatori di interessi permettendo loro di ottenere un riconoscimento che, altrimenti, potrebbe essere negato. Alimenta lo scambio di idee e argomentazioni, permettendo anche un’evoluzione in positivo del progetto iniziale, contribuendo a tenere in considerazione alternative che potrebbero non essere state preventivate.
Concorre, infine, ad espandere il benessere e la soddisfazione della popolazione che sentendosi maggiormente accolta e coinvolta nelle decisioni amministrative (che diventano, ora, comunitarie e condivise) non avverte più il peso dell’imposizione di decisioni su cui non concorda o che, spesso, non comprende. Come plausibile conseguenza potrebbero diminuire proteste e recriminazioni di responsabilità.
Infatti, in una logica perfettamente in linea col principio di prevenzione, tanto caro al diritto ambientale, il dibattito pubblico potrebbe efficacemente far fronte ai fenomeni del Nimby (not in my back yard) e del più frequente D.A.D.A. (decidere, annunciare, difendere, adattare). Questi fenomeni, rappresentano una spina nel fianco per qualsiasi grande opera pubblica. Il primo, il Nimby, può essere definito come una forma di protesta attuata da un gruppo di persone o da una comunità locale (o nazionale) contro opere e attività di interesse pubblico ritenute avere effetti negativi sull’area di residenza o sulla salute del gruppo (esempio efficace quanto attuale può essere quello dei gruppi NO TAV). Per maggiori informazioni e approfondimenti sulla diffusione del fenomeno del Nimby in Italia : http://www.nimbyforum.it/
Il D.A.D.A., invece, è un fenomeno tipicamente amministrativo, forse più rischioso anche dal punto di vista economico. In questo caso, è l’amministrazione che ha autonomamente deciso e messo in atto il progetto, a doverne difendere, a posteriori, la legittimità e le scelte attuate. L’amministrazione si riserva la possibilità di riadattare / ricalibrare l’azione, tenendo conto di eventuali esigenze emerse durante le contestazioni o modificane alcuni aspetti, talvolta essenziali, seguendo tracce che, probabilmente, non aveva tenuto in considerazione.
Si capisce bene, quindi, sotto quale aspetto l’introduzione di processi partecipativi mirati e adeguatamente gestiti possano, quantomeno, alleviare il peso di queste pressioni sociali dando, al contempo, sollievo all’azione e alle finanze delle pubbliche amministrazioni.
Occorrerà, tuttavia, essere preparati per gestire le inevitabili complicazioni che nasceranno nel momento di attuare il dibattito pubblico. Un esempio interessante riguarda le problematiche nascenti dall’esecuzione dei cosiddetti mega-progetti (es. costruzione di un aeroporto con conseguente linea metropolitana o rete autostradale). A causa del loro molteplice campo di applicazione, rischierebbero di disperdere gli interessi dei partecipanti o confondere i piani. Non di rado, infatti, per questioni di semplicità e rapidità, i proponenti dell’opera suddividono il progetto in parti (es. uno per la realizzazione della linea metropolitana e uno successivo per l’aeroporto) riducendo, in tal modo, l’impatto della partecipazione.
Di fronte a casi come questo, buona prassi sarebbe quella di avvalersi della consolidata esperienza ventennale di provenienza transalpina. L’attuale configurazione dell’istituto italiano, infatti, mutua molti aspetti dell’equivalente modello francese del débat public.
Dall’esperienza internazionale, infatti, possiamo trarre l’insegnamento che, in caso di complicazioni, decisivo sarà il ruolo che la CNDP deciderà di assumere. Tornando all’esempio sopra citato sui mega-progetti, si può notare, come la commissione francese abbia optato per l’organizzazione congiunta dei processi di dibattito pubblico fissando date e incontri negli stessi giorni o in periodi ravvicinati, a volte perfino nominando una stessa commissione locale per entrambi i dibattiti così da favorire il flusso di informazioni e una partecipazione adeguata.
L’esperienza internazionale può tornare utile tanto in positivo, quanto in negativo. In questo senso, una critica spesso mossa al modello francese (e per la quale ancora non si è trovata risposta) è quella che, se da un lato ha rilanciato e fatto progredire la partecipazione del pubblico nell’elaborazione della decisione, ha tuttavia fallito nel rispondere alla domanda di partecipazione della società civile a valle della decisione, al momento successivo della realizzazione dell’opera. In buona sostanza, occupandosi solo della realtà partecipava a monte del progetto, non ha considerato con sufficiente attenzione la necessità di sviluppare le soluzioni per dare pieno effetto alle trasformazioni immaginate o ai suoi possibili fallimenti.
È possibile ipotizzare un superamento di questa critica?
Ad un’attenta riflessione si noterà come l’istituto del dibattito pubblico non si discosti, sotto molteplici aspetti, dalle logiche di fondo tipiche della mediazione. La base di partenza presenta principi sostanzialmente identici: partecipazione dei portatori di interesse (o stakeholders), gestione del tavolo da parte di un soggetto terzo e imparziale che faciliti il dialogo, redazione di un accordo o di una relazione non imposta ma partecipata, trasparenza e circolazione delle informazioni, trasformazione dei progetti e delle idee, ecc..
La differenza sostanziale può essere individuata nel fatto che se il dibattito pubblico interviene in una fase pre-conflittuale, nella quale cioè il conflitto se esiste è in forma latente (e la mancata realizzazione dell’opera comporta la sua non estrinsecazione o causa un’impossibilità ad agire) la mediazione interviene solo in una fase successiva, quando ormai il conflitto esiste ed è ben radicato tra le parti.
È, forse, proprio in questo punto che l’istituto del dibattito pubblico e quello della mediazione possono intersecare le loro linee di azione, ponendosi in una relazione di continuità che faccia tesoro delle esperienze partecipative e che ne raccolga le risultanze, proseguendo una (la mediazione) l’azione terminata dall’altro (dibattito pubblico).

Le soluzioni, in realtà potrebbero essere le più disparate. In questo scritto si è cercato di mettere in evidenza quella di più immediata praticità. Resta innegabile il fatto che occorre trovare una spinta per rilanciare, ri-modernizzare, il dia

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logo sull’ambiente. Si auspica, a seguito dell’esito del dibattito pubblico l’istituzione di un tempo dedicato alla ricerca delle convergenze, di superamento del conflitto tra la critica ambientalista e progetto di sviluppo, di cui il dibattito pubblico è la necessaria espressione.