Mediazione ambientale: prevenire è meglio che riparare?

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di Nicolò Cermenati*

«Curarsi non vuol dire ingoiare una pillola ogni sei ore […]. Curarsi vuol dire orientarsi verso un giusto stile di vita […] la cosa importante non è curare le malattie quando insorgono, come fa sempre la medicina occidentale, ma prevenire le malattie vivendo una vita in cui il corpo è in armonia e la mente è in pace». Queste sono le eloquenti parole che Tiziano Terzani riporta nel suo libro Un altro giro di giostra, che presentano una forte risonanza col vecchio e celebre adagio “prevenire è meglio che curare”.
Prendere le mosse da questa citazione serve da spunto per rilevare come anche la materia ambientale sia, da sempre, molto attenta al corretto esperimento di azioni di prevenzione e di “cura” (riparazione). Proprio come un organismo umano anche l’ambiente, infatti, può “ammalarsi” e la malattia è, molto spesso, cagionata dall’attività umana. Ma l’uomo, al contrario di virus e batteri, rappresenta per l’ambiente malattia e farmaco al tempo stesso.
Messaggio recepito molto bene dalla direttiva 2004/35/CE in tema di danno e responsabilità ambientale. Essadispone, infatti, azioni sia di prevenzione che di riparazione del danno ambientale atte ad evitare o, al più tardi, limitare gli effetti pregiudizievoli e catastrofici di un danno maturato per cause umane.
Secondo la direttiva l’azione di prevenzione trova applicazione quando un danno ambientale non si è ancora manifestato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi , e impone all’operatore l’adozione di misure di prevenzione adatte e necessarie a scongiurarne la realizzazione.
L’azione di riparazione, al contrario, interviene a danno ormai verificato, ed impone all’operatore la comunicazione all’autorità competente di tutti gli aspetti pertinenti della situazione e l’adozione immediata di alcune iniziative e misure di riparazione.
Da questo brevissimo excursus si può dedurre come la direttiva attribuisca all’azione di riparazione una logica di extrema ratio, da adottare solo laddove il danno non si sia in alcun modo potuto prevedere e/o evitare. Per contro, riserva all’azione di prevenzione una posizione privilegiata, individuandola quale scelta sempre preferibile, anche in considerazione del fatto che, sovente, il danno ambientale presenta caratteristiche irreversibili tali da rendere inefficace qualsiasi riparazione che si configuri in una messa in pristino della situazione precedente al danno.
In sostanza ciò che la normativa vuole lasciar trasparire è il messaggio che prevenire è meglio che riparare.

Se ragionassimo, poi, al di fuori di logiche strettamente legate al concetto di danno, e allargassimo lo spettro d’indagine al più generico tema del conflitto, ci si potrebbe chiedere se il messaggio della direttiva 2004/35/CE, non possa trovare interessanti applicazioni anche in punto di conflitto ambientale nella sua più larga accezione. Il che significherebbe domandarsi se e come sia possibile prevenire un conflitto ambientale.
Una possibile risposta potrebbe derivare direttamente dall’esperienza: un conflitto ambientale può essere prevenuto evitando la degradazione contesto socio-ambientale, esattamente come un conflitto sociale si previene evitando la degradazione del clima sociale.
L’azione di prevenzione, ad esempio, potrebbe essere potenzialmente molto efficace sia per imprese che per pubbliche amministrazioni che volessero evitare che progetti o condotte materiali siano, poi, oggetto di forte contestazione pubblica o, in casi estremi, di controversie pendenti in tribunale.
A onor del vero, vi è da sottolineare come nel nostro ordinamento esistano già strumenti in cui sia possibile individuare le risorse giuste per svolgere una funzione di questo tipo. Il riferimento è alla Conferenza di Servizi (L. 241/1990 e ss.mm.ii.), nonostante preveda solo lateralmente una struttura di discussione dibattimentale in tema di ambiente e ancor meno la partecipazione di privati, agli istituti della Valutazione di Impatto Ambientale – V.I.A. – (D.P.R. 12/4/96 e ss.mm.ii. e D.Lgs 128/2010) e della Valutazione Ambientale Strategica – V.A.S.- (D.Lgs 152/06 e ss.mm.ii.), nonché alla recentissima normativa sul dibattito pubblico che ancora non ha avuto modo di spiegare le sua funzionalità (Art. 22 del D.Lgs n. 50/2016 e ss.mm.ii.). La maggioranza di questi istituti, tuttavia, sconta il prezzo di sue fragilità proprio in sede di attuazione a causa di una loro incerta interpretazione dovuta a continui cambi legislativi, di una estrema complessità strutturale nonché dell’eccessiva farraginosità delle procedure.
A supporto di questi strumenti più tradizionali può essere affiancato anche un modello destrutturato di mediazione, la quale, con le dovute cautele, presenta tutte le carte in regola per poter contribuire ad offrire un ulteriore strumento di prevenzione. Infatti, sebbene sia noto che di regola la mediazione intervenga ad un livello successivo alla nascita del conflitto (campo nel quale ha già dato prova delle sue potenzialità e capacità), a livello preventivo potrebbero configurarsi diverse e non meno interessanti applicazioni.
Tra le proposte, quella più significativa può essere sintetizzata nella messa in opera di un servizio di tavoli di facilitazione e dialogo in tema ambientale, che mutuino alcuni aspetti caratteristici ed essenziali della mediazione stessa.
La prospettiva, in questo caso, potrebbe essere quella di creare un canale diretto tra impresa e realtà territoriali, nel quale affrontare e regolare l’insorgenza di possibili contrasti prevenendone l’aggravarsi e/o la prosecuzione in campo giudiziale, nonché di favorire il più possibile lo scambio di informazioni, sulla falsariga di quanto disposto nella nuova normativa del dibattito pubblico.

Sulla scorta dell’esperienza sviluppata nel campo della mediazione ambientale, introdotta e sperimentata con esiti molto positivi dalla Camera Arbitrale di Milano nel 2015  e che ha come scopo essenziale la restituzione di una dimensione antropocentrica ed ecocentrica (si passi il termine) al conflitto, cercando di riconciliare l’uomo e il suo territorio, un tavolo di facilitazione e dialogo avrebbe il vantaggio, non indifferente, di essere aperto agli stakeholders più disparati, portatori di interessi territoriali eterogenei, che hanno l’esigenza di far sentire la loro voce sulla materia oggetto di discussione.
Il ricorso alla procedura irrituale propria della mediazione conferirebbe, poi, ampi spazi di scelta e d’azione per le parti, non da ultima la peculiarità di poter essere attivato e/o chiuso in qualsiasi momento. A ciò si aggiunga la protezione offerta dal vincolo alla riservatezza che fa sì che le trattative e le risultanze restino appannaggio delle parti e del territorio.

Ma i benefici non si limiterebbero a quelli sopra citati. Tra i tanti potrebbe essere utile elencare: risparmio su esborsi di giudizio e su eventuali spese di riparazione del danno; rafforzamento dei legami col territorio e coi clienti; potenziamento di reti di collaborazione; conformità agli standard della normativa europea e nazionale; verosimili ripercussioni positive in ambito pubblicitario; creazione di un corretto flusso di scambio di informazioni; realizzazione di una amministrazione trasparente; prevenzione dei fenomeni diffusi del NIMBY (not in my back yard) e NIABY (not in anybody back yard); dialogo con associazioni e privati cittadini; concretizzazione della normativa sul dibattito pubblico in tema di infrastrutture anche al di fuori dei limiti imposti dalla legge; soluzioni ritagliate ad hoc sulla base alle esigenze presentate al tavolo e corrispondenti alle aspirazioni, interessi e bisogni della maggioranza dei partecipanti.
Quest’ottica preventiva, che troverebbe plausibilmente un largo consenso da parte delle imprese private, potrebbe incontrare, per contro, diffidenze e difficoltà avanzate dal mondo della pubblica amministrazione che, sulla scorta del principio amministrativo secondo cui la P.A. non può essere chiamata a rispondere se non a seguito dell’emissione di un provvedimento, potrebbe preferire correre il rischio ed eventualmente avvalersi di azioni di riparazione successive. A queste si aggiungano obiezioni basate sui principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.
Se analizzati ad un livello più profondo, tuttavia, tali contrasti potrebbero risultare facilmente superabili. L’azione di prevenzione può, infatti, trovare uno spazio di applicazione attraverso i principi di precauzione, di informazione e di concertazione delle attività, anche in raccordo a logiche di economia processuale e monetaria. Non da ultimo vi sono evidenti punti di intersezione con i citati istituti della V.A.S. e della V.I.A.
Ma non solo. Fondamenta solide a sorreggere un’azione preventiva discendono, anche, nella ratifica e corretta attuazione di convenzioni internazionali, una fra tutte quella di Aahrus del 2001. Tale convenzione statuisce, infatti, un obbligo di inclusione nelle attività della P.A. a regime (anche) ambientale, di tutti gli stakeholders. L’essenza della convenzione viene scolpita, infatti, su tre solidi pilastri: accesso alla informazione ambientale su ampia scala; partecipazione dei cittadini nelle scelte riguardo alla qualità ambientale presente e futura; miglioramento dell’accesso alla giustizia.

Inoltre, senza voler necessariamente insistere sul campo di diritto amministrativo, per un convincimento anche solo superficiale della P.A. potrebbe essere sufficiente l’uso del buon senso. È seriamente pensabile che un’amministrazione rifiuti di sedersi ad un tavolo di dialogo con i cittadini, suoi elettori, o con le imprese su questi temi di rilevanza pubblica quale l’ambiente?
E ancora. Facciamo parte della schiera di quelli che rimpiangono la salute (anche ambientale) solo dopo averla persa, correndo ai rimedi quando potrebbe essere tardi, oppure assumono comportamenti di prevenzione responsabile per la salvaguardia e la tutela in tutte le sue forme?

Il discorso, purtroppo, si attesta ancora ad un livello puramente teorico ed ideologico, ma il conforto derivante dal dettato normativo in materia di dibattito pubblico, conferma che la direzione da seguire in materia di prevenzione sembra essere quella corretta per «orientarsi verso un giusto stile di vita».

*collaboratore progetto Mediazione Ambientale in Camera Arbitrale di Milano